Catherine Dunne e il bullismo

Da Lara

Da abcfamily.go.com


E' uscito da poco il libro "Quel che ora sappiamo" di Catherine Dunne-
Tratta un tema che mi sta particolarmente a cuore, il bullismo (in questo caso si dovrebbe definire 'cyberbullismo') e qui ripropongo l'intervista fatta alla scrittrice e da me letta su La Stampa.

"Avevo in testa l’immagine di questo bambino in bicicletta che corre disperato. Come se gli fosse successo qualcosa di tremendo. Il libro è nato così". 

Dublino, nel salone dello Shelbourne Hotel, Catherine Dunne ordina una tazza di caffè. Il suo ultimo lavoro Quel che ora sappiamo (pubblicato da Guanda) tiene dentro molte cose. Ma due sopra le altre: la famiglia, con le sue relazioni complicate e imprescindibili, e poi i figli. La loro fragilità. Come li salviamo quando il mondo li va a cercare con cattiveria? Come capiamo quando stanno male? Nemmeno una mamma psicologa può avere le chiavi della loro anima. Anzi, per lei la sconfitta rischia di essere doppia. Ancora più dolorosa.  


Di fianco alla Dunne, una donna cortese, rapida, con orecchini di perle e occhi molto chiari che nel nostro Paese ha venduto un milione di copie ....... c’è un giornale ancora piegato. Racconta del suicidio della quindicenne Clara Pugsley in Irlanda e di quello della sua coetanea canadese Amanda Todd. Sono stati i bulli della rete a spingerle a togliersi la vita. Clara l’ha scritto in una lettera. Amanda l’ha detto in un video. "Mi hanno dato la caccia per anni. Mi sono ridotta a bere e a drogarmi. Ora non ce la faccio più". Si è impiccata. Distrutta da coetanei feroci che si nascondono dietro una tastiera. "Certi ragazzi stringono tra le mani una pistola carica. E la puntano alla tempia degli altri senza neppure accorgersene". 

Signora Dunne, quando ha scoperto i cyber-bullies?  
- La prima volta che ne ho sentito parlare è stato per il caso di una ragazzina americana. Si era impiccata anche lei. Sono rimasta scioccata. Poi vicende analoghe hanno cominciato a riempire le pagine dei giornali irlandesi. Il disagio è diventato profondo -. 
Come ha reagito?  
- Ho fatto ricerche. Ho scoperto un livello di depravazione e di cattiveria spaventoso. Ho insegnato a scuola per diciassette anni. I ragazzi mi interessano. So quanto è importante per loro far parte del gruppo. Ovvio che la cosa mi abbia colpito-. 
Chi sono i più deboli?  
- I ragazzi artisti. Come Daniel nel mio libro. La persecuzione li umilia. E le ferite che si aprono sono tremende-. 
Non basta l’amore della famiglia a salvarli?  
- Spesso no. I ragazzi tendono a tagliare fuori i genitori. Hanno paura che soffrano anche loro. Li proteggono. Vogliono cavarsela da soli. E sono convinti che papà e mamma non possano capire -. 
Che differenza c’è tra il bullismo di ieri e quello di oggi?  
- Internet. Una volta il bullo magari ti picchiava. Ma poi andavi a casa e ti sentivi protetto. Oggi ti inseguono con gli SMS, su Facebook, sullo smart phone. Non c’è mai tregua-. 
Perché questa cattiveria?  
- I bulli del mio libro, i J, hanno 14 anni. E lo fanno per il potere. Jason, il più duro, ha imparato a usare il computer in California. Sa come manipolarlo. E si sente il re del castello. La paura è il più potente mezzo di controllo-.  
Non si può essere leader semplicemente grazie alla personalità?  
-Si, ma bisogna averla. Il carisma è figlio del talento. E il talento, a differenza della cattiveria, non te lo puoi dare-.  
Un genitore che strumenti ha per comprendere i figli?  
- Pochi. I ragazzi, come gli adulti, sono persone diverse a seconda di chi hanno davanti. Noi conosciamo di loro solo delle parti. E la loro sofferenza in genere ci coglie di sorpresa-. 
Non c’è speranza?  
- Certo che c’è. Forse non possiamo intuire ogni cosa. Ma possiamo chiedere. E chiarire che un adulto che ama può sopportare tutto-. 


Fonte dell'intervista: Andrea Malaguti su La Stampa cultura




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