Silvia Medeossi
Guardo il muso dolce e un po’ buffo del mio gatto che, inclinandolo, sembra interrogarsi su quale strano pensiero stia facendo e mi domando quanto si sia divertito Andrew Lloyd Webber a scrivere il suo Cats. Tratto dal libro di poesie Old Possum’s Book of Practical Cats di Thomas Stearns Eliot, è uno dei musical più longevi di tutti i tempi con quasi novemila repliche, tra il 1981 e il 2002, a Londra e 18 anni di tenuta a Broadway. Un successo che è entrato a far parte anche della storia della musica. Trenta artisti in un cast che si muove armoniosamente diretto da Trevor Nunn, sul palco del Politeama Rossetti di Trieste, dove Cats andrà in scena ancora fino al 23 marzo.
Già dal foyer intravedo il palcoscenico e noto il sipario aperto quasi a voler accogliere gli spettatori lì, nella discarica a cielo aperto in cui prende vita la vicenda narrata, senza far ricordare loro che sono a teatro per uno spettacolo. Ed ecco che con il solo bagliore di una splendida luna piena si presentano i Jellicle Cats. Il primo tempo è caratterizzato dall’avvicendarsi di presentazioni e cori, coreografie che coinvolgono il cast al completo con sinuosi e semplici passi di modern. La musicalità è in perfetto british style e i ritornelli ridondanti sono quelli che caratterizzano il musical in quanto tale. Perfezione esemplare di esibizione che però è ricca di ripetizioni, che non vengono vivacizzate nemmeno da luci ad hoc, staticismo questo che per fortuna caratterizza solo il primo tempo e che a fine serata ben ricompongo quale gustosa entrée di uno show in crescendo.
Durante il secondo tempo invece la componente coreografica si allontana dalla chiusura delle simmetrie e gioca lasciando più evidenti i rimandi alle mosse feline mentre le luci rendono bene l’idea della predominanza dei vari interpreti con i loro colori e la loro personalità. Ognuno racconterà la propria vita e le proprie passioni al saggio Old Deuteronomy, ciascuno per convincerlo di meritare la rinascita in una nuova Jellicle Life. Dal gatto aristocratico a quello della ferrovia, fino a giungere al bello di turno, ossia il gatto playboy, ribelle ed adorato. Rum Tum Tugger, questo il suo nome, è qui interpretato dal bravissimo Filippo Strocchi, unico italiano a far parte di un cast dai durissimi canoni di selezione. L’esperienza teatrale di Filippo si fa sentire in tutti gli applausi che gli vengono giustamente concessi e che mi rimandano ad un’annotazione che avevo dimenticato. Il suo talento è perfettamente calzante con gli intenti di Webber che vedeva nel playboy felino la personificazione della prorompente verve di Mick Jagger, baritono rock per eccellenza.
Ad incantare è soprattutto Joanna Ampil, applauditissima star del West End londinese, qui nei panni di Grizabella. A lei viene affidata la delicata esecuzione di una delle canzoni più belle e più ascoltate al mondo: Memory. Aria soave e romantica interpretata da voce cristallina e leggera, fresca e fluida resta nel cuore, dolcemente martellante evocando così i messaggi di un musical che rimane una fiaba ben realizzata in tutti i suoi dettagli. Curatissimi e celeberrimi make-up e costumi, diventati l’icona stessa dello spettacolo, che regala ghiotti momenti di commistione con la platea tanto da sembrare improvvisato. Plauso al Rossetti che ha ospitato questo successo dando anche vita ad un’iniziativa molto originale quale il concorso CaTS – Trova il sosia per delle simpatiche similitudini tra i nostri felini di casa e i gatti umanizzati impersonati dai componenti del cast, nel tentativo riuscitissimo di prolungare al di fuori del proscenio il messaggio dello spettacolo: cercare reale amicizia con i nostri amici a quattro zampe e non solo obbedienza.
Fotografie di Alessandro Pinna