Cattedrale di Raymond Carver

Creato il 18 marzo 2015 da Dida

Immaginate una casa degli specchi, una di quelle che di solito ritroviamo nei luna park americani. 

Immaginate al suo interno un uomo e una donna, perfetti steortipi dell'America minimalista e isterica, riflettersi all'infinito in quell'intricato labirinto di specchi, dove finalmente riescono a osservarsi.Immagine ora di leggere questo piccolo esperimento, avrete Cattedrale di Raymond Carver.

Cattedrale è stato il mio primo (e fulminante) approccio con Carver. Ero già pronta a massacrare quello che è considerato il maestro delle short story americane, che se vogliamo dirla tutta a me non fanno impazzire.La raccolta si apre con un racconto grottesco, caratterizzato da un ambiente asfissiante e da una narrazione serrata e ridotta a poco termini. Non ci sono frasi da segnare e ricordare, Carver infatti non è un autore citazionistico, e non abbiamo un lessico ricercato, né una struttura particolare.
Almeno in apparenza.


Cattedrale, proprio come le imponenti strutture da cui la raccolta trae il nome, ha un'architettura molto semplice all'esterno, ma al suo interno nulla è messo a caso.La grande caratteristica di questa raccolta, infatti, sta nella sua struttura, minimal, ma intricata, che accoglie una coppia di americani isterici, stanchi e disillusi. 

Protagonisti sempre diversi, ma che in realtà sono sempre gli stessi. 


Lo stesso uomo e la stessa donna in rappresentanza di un' umanità stanca, al limite del grottesco, che si specchia in se stessa senza capire e che ripete all'infinito sempre gli stessi errori. 
In tutti i dodici i racconti assistiamo quindi a una lunga (quasi) epifania, che non compiendosi mai, crea strutture e storie sature e asfissianti, che vengono accentuate dallo stile minimale dello scrittore. 

Pesi, architravi e contrafforti. Come in una vera Cattedrale l'esterno, i calcoli, la logica, le stesse regole della fisica che le permettono di stare in piedi sono una sovrastruttura. Dentro, in fondo, al centro... non c'è niente. 

Alla prossima

Diana

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