Il tema di come recuperare parte dei ricavi persi sia dal declino delle vendite dei quotidiani cartacei che dal calo degli investimenti pubblicitari sugli stessi è centrale nell’analisi della sostenibilità dell’evoluzione verso il digitale per l’industria dell’informazione.
Fra le diverse opzioni, le distinte sperimentazioni in atto, l’adozione del paywall, di un muro, più o meno penetrabile, è un tentativo che dopo l’introduzione da parte del NYTimes a marzo 2011 in molti, soprattutto negli Stati Uniti ma anche in Europa, hanno adottato o stanno pensando di adottare. Sul tema l’infografica pubblicata da Mashable fa una buona sintesi dello stato dell’arte per quanto riguarda gli USA e la ricerca, condotta da Jonathan E. Cook, della Columbia University di New York, e Shahzeen Z. Atta, della Indiana University, su attitudini e comportamenti dei lettori del «The New York Times», aiutano a chiarsi le idee.
Argomento “caldo” anche in Italia dove i rumor, le indiscrezioni, sul possibile passaggio a pagamento nel 2013 da parte dei due principali quotidiani online nazionali, e forse anche di altri, hanno ripreso corpo. Al riguardo è opportuno sottolineare come in molti casi, se si esclude il «Financial Times», primo tra tutti i giornali internazionali a passare anche nell’edizione digitale esclusivamente a pagamento già nel 2010, che rappresenta uno dei rarissimi casi di successo in ambito editoriale nella valorizzazione dei contenuti online, si vede come, allo stato attuale, l’adozione di un paywall, “metered” [con un numero mensile di articoli fruibili gratuitamente] o meno, abbia spesso rilanciato le vendite, o comunque i ricavi derivanti dalla versione cartacea.
A metà ottobre Forrester ha pubblicato le sue previsioni per il quinquennio 2012 – 2017 proprio sulle tendenze per il prossimo lustro per quanto riguarda i contenuti a pagamento online relativamente all’ Europa dei sette: Francia, Germania, Olanda, Spagna, Svezia, Regno Unito e Italia, i cui contenuti sono stati integrati da un successivo rapporto sul tema reso disponibile [i entrambi i casi solo a pagamento] il 31 ottobre.
Previsioni che sono state accolte con entusiasmo poichè, per quanto riguarda specificatamente le notizie online, si passerebbe – il condizionale è d’obbigo trattandosi di previsioni, per quanto accurate possano essere – da 158 milioni di euro del 2012 ai 279 del 2017, Sempre secondo Forrester il numero di persone disponibili a pagare per notizie e informazioni, anche se non viene specificato di quale tipologia [se specialistica, specializzata, o meno] passerebbero da 4,8 milioni del 2012 a 8,1 milioni nel 2017 con il 20% dei possessori di tablet che entro i prossimi 5 anni si dichiarano disponibili a pagare.
Se una tendenza positiva è certamente una buona notizia, vi sono degli aspetti che richiedono una riflessione e credo riducano significativamente entusiasmi e speranze.
In primis 8,1 milioni di persone disposte ad acquistare informazione, notizie in formato digitale rappresentano comunque una frazione molto ridotta rispetto a coloro che invece comprano un quotidiano di carta. Per l’esattezza la proiezione di Forrester per il 2015 parla di 235 milioni di euro per le notizie in formato di digitale mentre le proiezioni per lo stesso anno pubblicate a giugno dal «The Economist» dei ricavi per i giornali di carta in Europa sono di 58,9 miliardi di euro.
Inoltre, come viene sottolineato sia da Forrester che da Paid Content l’evoluzione della disponibilità a pagare pone serie minacce ai già ridotti ricavi derivanti dalla vendita di pubblicità online per le testate che dovranno necessariamente rivedere la loro offerta anche sotto questo profilo pena la perdita di ricavi anche su questo fronte come già avviene, ad esempio, al NYTimes da 6 mesi a questa parte. Approfondirò quest’area nei prossimi giorni, promesso.
Come mostra la tavola di sintesi sottoriportata, che solo «El Pais» ha reso disponibile, seppure tra i diversi segmenti analizzati il maggior tasso di crescita sia quello che riguarda le news, le dimensioni del mercato resteranno infinitesimali rispetto a musica, giochi e video. E’ l’evidenza più concreta di quanto poco nel complesso l’industria dell’informazione sia in grado di coinvolgere e di convincere le persone.
Le strategie sin qui adottate per far pagare alle persone i contenuti online non paiono adeguate. La focalizzazione sul pagamento prima che sulle persone, sui loro interessi, sul business prima che sulla credibilità e la qualità dell’informazione diffusa, non consentiranno una sostenibilità dell’informazione online/digitale. Le strade da seguire sono altre.
In tema, ad integrazione, si legga anche “Print Media in Times of Change – a key contributor to EU 2020″ dell’ENPA – European Newspaper Publishers Association.