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Cattivissimo me 2. Autorappresentarsi

Creato il 02 novembre 2013 da Spaceoddity
Da un numero 2 non ti aspetti nulla. E, bada bene, certe volte neanche dal primo film di una serie. E però è vero che a quel punto vai al cinema e sei più disposto a divertirti e a guardare, direi meglio: a osservare. E non puoi non notare come film del genere sfruttino, più del titolo capostipite un'urgenza oggi più viva che mai, quella di autorappresentarci. Va così, che si perde la voglia di raccontare una storia, che oggi sembra appannaggio esclusivo dei grandi affreschi e dei bei film di una volta, e si dispongono in sequenza situazioni e personaggi. Uno dei requisiti della letteratura contemporanea è la perdita di narratività; una delle conseguenze, un'attenzione incredibile ai modelli rappresentativi.Cattivissimo me 2. Autorappresentarsi Così, per questo Cattivissimo me 2 (2013, tit. or. Despicable Me 2) parlare di trama è azzardato e al più gli autori (Cinco Paul e Ken Daurio) e i registi (Pierre Coffin e Chris Renaud) hanno trovato a stento un alibi accettabile per recuperare da qualche magazzino materiale ancora più che vitale. E del resto, non solo emerge l'immagine di un circo umano che vede nel centro commerciale il suo sfondo più ovvio e rappresentativo, ma la stessa natura del disegno assume un significato consumistico notevole. I personaggi sono tutti oggetti, hanno la consistenza di figurine di gomma o di stoffa, gli adorabili Minion - chiassosi e infantili - sono inflazionati, gli oggetti hanno la meglio sulle persone e l'indefinito, l'informe - la "marmellosa" - sul noto. È un mondo insieme addomesticato e tentato da una rivoluzione, o dal ricordo di una presunta rivoluzione vissuta tempo fa (la sigla finale con l'intramontabile YMCA dei Village People la dice lunga). Non dico che un film leggero e spassoso come questo non sia rivolto ai bambini in modo particolare, anzi, ma - complice anche l'esibito citazionismo - il sottotesto e il linguaggio sono rivolti agli adulti, a certi adulti, e sembrano semmai farsi un po' gioco di un'innocenza ottimista, romantica e inarrestabile. E chissà, in fondo, che lo stesso lieto fine non sia un'implicita ammissione di inconsistenza e perciò di ingestibilità narrativa per il prosieguo, più che un messaggio di speranza.

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