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Seguissimo gl'insegnamenti di un vero maestro - intendendo con tale appellativo la rara persona in grado di trasmettere per via erotica (come ricorda Platone), ossia emotiva, una suggestione culturale - apprezzeremmo di più e meglio parole del tipo "Nel tempo della semina impara, in quello del raccolto insegna e goditi l'inverno", scoprendo in esse, grazie a quell'insperato tramite, la non così scontata capacita' di attagliarsi ad ambiti personali in apparenza remoti per consuetudini, mentalità, inclinazioni interiori. Con tutta evidenza, il lavorio di qualche ignoto - e mai abbastanza benemerito - educatore, ha lasciato tracce significative in un personaggio come Chris Carter, autore della (ora) leggendaria serie televisiva "X-files" in procinto - le riprese di sei nuovi episodi concordati con la Fox e non necessariamente limitati ad un impegno una tantum sono iniziate da poco - di tornare di fronte agli occhi di una platea planetaria che non si era mai del tutto rassegnata alla sua dipartita, pur avendo stentato - e non poco - agli inizi a mostrare medesima affezione. Carter - per meglio dire - appassionato di fumetti e narrativa fantastica, surfista, collezionista di scampoli di quella sterminata pubblicistica della stranezza, dell'anomalia e dell'ambiguo (di cui farà schernito epigono il suo antieroe, Fox Mulder/D.Duchovny, chissà quanto predestinato dal suo stesso nome, così evocativamente prossimo, nella progressione fonetica, a "to moulder", più o meno "ridurre in polvere", "sgretolarsi", "decomporsi", a rafforzare l'idea, poi non così peregrina, di segugio-votato-alla-sconfitta) ha, nel tempo e nei fatti, in primis "seminato" imparando, ossia convogliato nel confortevole grembo dell'immaginazione/narrazione fantascientifica contributi disparati e non necessariamente concordi - dalle invasioni e colonizzazioni aliene, alle mutazioni genetiche estreme; dai messaggi subliminali, ai viaggi nel tempo; dalle strategie di controllo psichico, ai fenomeni extra-sensoriali; dalle leggende metropolitane e dalle arcane tradizioni di stampo lovecraftiano, agli intrighi e collusioni delle super burocrazie segrete; dagli orrori sfuggenti quanto indicibili di cui sono intrise le pieghe della cosiddetta normalità, a vere e proprie esperienze extra-corporee; dagli stati sospesi di coscienza, alle visioni più o meno terrene. E ancora: vampiri, reincarnazioni, stati di morte apparente, serial killer mossi sempre da qualcosa di più e di diverso dal semplice istinto omicida, strani ibridi (non ancora del tutto extraterrestri ma sempre meno umani), corpi che non si rassegnano a perire e restano incastrati in bislacchi intra-mondi, armi biologiche fuori controllo, teorie millenaristiche, elementi di cripto-zoologia, spionaggi, sofisticate manipolazioni propagandistiche... - "raccolto", in seguito, l'inerzia di un'onda di popolarità che avrebbe prodotto a bilancio una mareggiata costituita da duecento e passa episodi distribuiti in nove stagioni a partire dal 1993; di conseguenza, "insegnato", lasciando la propria impronta su decine di contenitori stipati di mistero e inquietudine; finendo per "godersi l'inverno" (che, come si vede, può non essere sempre e solo quello del-nostro-scontento) assiso in un silenzio e in una distanza l'uno e l'altra in grado di sedimentare un desiderio crescente, la voglia anterograda di continuare, proprio per fare in modo di non apporre ancora la parola "fine", in quel gioco per certi versi struggente di credere alla malia della finzione-vera delle storie, alle possibilità e alle promesse che pulsano al fondo di ogni racconto, voglia esemplarmente riaffermata - seppur in senso antifrastico (e questo la dice davvero lunga circa il potere intrinseco delle suddette storie) - da uno dei tanti refrain presente nella serie: "Il modo migliore di prevedere il futuro e' inventarlo". Il progressivo modellarsi di un mondo - il mondo di "X-files", per l'appunto - via via autonomo perché sempre più intimamente coerente, ha contribuito a produrre modificazioni sia nell'approccio e nell'assimilazione di taluni canoni tipici della modernità (del suo modo di autorappresentarsi), sia nelle scelte estetiche, latamente formali, utilizzate per esprimerli. Nel primo caso - e limitandoci ad un'enunciazione generica - e' indubbio che con l'avvento della creatura di Carter si sia data legittimazione definitiva ad uno degli argomenti cardine delle denominate subculture, a dire la famosa/famigerata "Teoria del complotto". In "X-files", infatti, essa si pone da subito, oltreché come vettore di numerosi intrecci, di altrettanti interrogativi, come sfondo vero e proprio, come involucro-placenta, tanto impalpabile quanto onnipresente, tanto tacito quanto perennemente-nell'-aria, in prossimità della quale si muovono i protagonisti, in ogni istante tallonati (e noi con loro) dal dubbio di essere retrocessi quasi senza colpo ferire a pedine di uno schema inattingibile e perverso. Se consideriamo l'omicidio di JFK punto di svolta della capacita' di stratificazione nell'immaginario comune recente di quella che potremmo definire - per comodità - "logica cospirativa", notiamo, nello svolgimento degli eventi interni alla serie, oltre a richiami più o meno espliciti proprio alla tragedia di Dallas, disseminati qua e la' come indizi di una volontà-condizionatrice-indefessamente-al-lavoro o come mera interiezione sarcastica di uno spirito dei tempi dato oramai per scontato al punto da risultare passibile di rivisitazione parodica, un intento, calcolato e insistito, di estremizzazione del respiro complottista, al tempo concettuale e narrativo, ossia quasi furtivamente suggerito oltre i confini del suo contesto convenzionale governativo-militare-industriale-finanziario ma grossomodo sempre ribadito di caso inspiegabile in caso inspiegabile, allo scopo di solleticare (cioè nutrire e rimettere ancora e ancora in circolo) quella sorta di eterna paranoia vieppiù strisciante, volendo proprio da quel giorno luttuoso di novembre, nelle società affluenti - iper-razionali e insidiate dall'horror vacui - a cui "La Teoria" offre un'ideale rimozione/placebo e che "X-files" usa con grande scaltrezza per mantenere costante il livello di tensione, insinuando il sospetto (terribile perché definitivo), non tanto che "nulla e' ciò che sembra" ma che forse non sia neppure questo e che, sul serio, la realtà (la sua allucinazione ? La sua ridicola ossessione ? Ciò che resta di entrambe ?) equivalga al sogno astruso e mesto di un pazzo. D'altro canto, per ciò che attiene più nello specifico alla struttura visiva e alla verifica di un'ipotesi di stile, e' difficile non riconoscere all'intuizione di Carter il tentativo di misurarsi - o, almeno, di rivolgere le proprie ambizioni in tale direzione - con alcuni strumenti peculiari del Cinema, concorrendo non poco, tirate le somme, a spingere il prodotto-medio-televisivo verso altezze fino a quel momento a lui ignote. Ricordiamo che il processo di gestazione di una TV più adulta - ovvero maggiormente incline ad una sgrossatura accurata e rigorosa dei caratteri, ad una metodica frammentazione delle trame in modo da svilupparne e approfondirne ogni risvolto, ad una qual dilatazione dei tempi (e del montaggio) nella ricerca di un nuovo equilibrio tra facilita' di fruizione, ritmo interno, azione e descrizione introspettiva finalizzata a far emergere con la persistenza (spesso in foggia di chiaroscuri indefiniti, di particolari incongrui, di silenzi/presagi) gli aspetti simbolici e metaforici - non di rado sinistri - di ciò che sembra offrirsi alla percezione - retrodata a tempi anteriori l'imporsi di "X-files". Senza andare troppo in la' con gli anni, basterà qui mettere in evidenza le eccentricità narrative e di messinscena di un'opera come "(I segreti di) Twin Peaks" di D.Lynch - pressoché coeva (andò in onda poco più di un biennio prima) al lavoro di Carter - in grado di sparigliare al momento della sua apparizione buona parte delle abitudini linguistiche cristallizzatesi dentro il piccolo schermo, per affermare che qualcosa stava cambiando e rapidamente. Chiaro: "X-files" non sarebbe altresì ciò che e' stato per tanti (e che, chissà, forse sarà ancora) se non avesse, da un lato, confermato l'inesauribile attitudine della macchina dello spettacolo a stelle e strisce a reperire (e ad imporre) innanzitutto volti, visi in grado (sia Duchovny che Anderson erano poco più che volenterosi di belle speranza ai tempi, nemmeno troppo sostenuti dalla produzione), per una strana osmosi, verrebbe da dire, di accompagnare innervandole, le fantasie, i sogni, le illusioni, il piacere dell'evasione, di un così vasto uditorio, variegato al suo interno come depositario di usi e costumi assai diversi tra loro; dall'altro posto di nuovo al centro del mistero il binomio base uomo/donna, spesso e volentieri, pero', secondo una dinamica per cui i singoli comportamenti eterodossi, erodendo pian piano gli stereotipi di riferimento, hanno finito, un azzardo via l'altro, per capovolgerne e rimescolarne in modo davvero intrigante i ruoli. Tanto, cioè, l'agente FBI Dana Scully/G.Anderson e' (almeno nella prima parte della saga e, diciamo così, per statuto) tetragona paladina del primato della Scienza e in generale della Ragione contro le elucubrazioni che da quei campi esulano, spingendo con mascolina fermezza affinché la Logica prevalga su ogni affermazione insofferente al suo rigido determinismo; tanto Mulder affida la guida delle sue investigazioni all'estro femminile dell'intuizione: egli e', a dire, curioso almeno quanto e' asistematico; afferma ma e' pronto a cambiare idea; non disdegna l'arzigogolo affascinante; e' capace d'impuntature, di testardaggini all'apparenza incomprensibili sotto cui alligna forse una latente isteria; si chiude a volte in mutismi; non di rado sparisce per ripresentarsi - magari a chiusura di file - affermando di avere sempre avuto ben chiara la soluzione e lasciando intendere per il tramite di un mezzo sorriso impunito di essersi divertito non poco ad assistere ai passi falsi degli altri. Questa strana coppia (annotiamo di sfuggita che i due, tra l'altro, hanno continuato imperterriti a chiamarsi reciprocamente per cognome anche dopo essersi scambiati il fatidico primo bacio atteso da mezzo mondo televisivo per anni) risolve, in altre parole, rilanciandola su piani inediti, l'archetipica dicotomia maschile/femminile in una mistura al contempo asessuata e seducente, minimalista nella schermaglia ma sotto sotto febbrile, irrequieta, cangiante, quindi capziosamente ambigua, per taluni versi irresistibile perché in teoria aperta quasi a qualunque colpo di scena o torsione di sceneggiatura. Vero e', comunque, a compendio di quanto detto, che all'annuncio delle nuove gesta di Mulder e Scully la febbre dell'attesa ha cominciato presto a salire. Proviamo ad essere pazienti, allora. Con ogni probabilità la verità non e' la' fuori ma l'avventura, di sicuro, si'. TFK
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