Si era nel terzo millennio del nostro secolo, e un pomeriggio di ottobre, stavo cavalcando sotto una violentissima bufera, lungo un argine della Frisia. Faceva un freddo polare. Le mie mani, intirizzite, a malapena riuscivano a reggere le briglie, e non mi davano noia neppure le cornacchie e i gabbiani che, gracchiando e schiamazzando, si precipitavano sulla terra incalzati dalla bufera. Ormai si era fatto buio pesto, tanto che non potevo più distinguere con sicurezza neanche gli zoccoli del cavallo. Non avevo incontrato anima viva e udivo soltanto il grido degli uccelli, quando con le larghe ali quasi sfioravano me e il mio fedele cavallo, o il fragoroso tumulto del vento e delle acque. Non voglio negarlo, più volte desiderai di trovarmi in un rifugio sicuro. La tempesta durava ormai da tre giorni, e io mi ero trattenuto, più di quanto fosse lecito, presso un parente a me carissimo. Ma quel giorno non mi ero potuto trattenere oltre: avevo affari in città, ed essa ancora destava un paio d’ore di cammino. Sull’argine vidi qualcosa farmisi incontro. Non udivo nulla. Ma, quando la mezza luna mostrò la sua luce sbiadita, mi parve di riconoscere una sagoma oscura in lontananza, e ben presto, quando essa mi si fu accostata, allora lo vidi, in sella a un cavallo bianco e magro dalle gambe lunghe: un mantello scuro gli svolazzava intorno alle spalle e, quando mi passò davanti quasi volando, scorsi due occhi infuocati guardarmi fissi da un volto pallido. Chi era? Che voleva?… Guardava con gli occhi sbarrati: in quella nebbia, infatti, sagome scure andavano avanti e indietro, e gli parevano grandi come figure umane. Solenni e maestose, ma con gesti strani e spaventevoli. Le vedeva, con i lunghi nasi, i colli protesi, ondeggiare su e giù presso le fenditure fumanti. Poi, d’un tratto, cominciarono a balzare qua e là, perturbanti come folli, le più piccole sopra le più grandi, le più grandi contro le più piccole. Infine si allargarono e perdettero ogni forma. Che cosa vogliono? Sono forse le anime degli affogati? Ohè! Gridò forte nella notte. Ma quelli là non tornarono indietro al suo grido, e trascinarono altrove, lontano, la loro essenza prodigiosa. Allora gli tornarono alla mente i terribili spettri marini della Norvegia. (leggendomeditando il Cavaliere dal cavallo bianco, novella di Hans Theodor Woldsen Storm).
THOMAS RHODES
Benissimo, voi idealisti,
e navigatori dei domini dell’intelletto,
e voi marinai di sublimi fantasie,
sospinti da erratiche correnti, precipiti in sacche d’aria,
voi le Margaret Fuller Slack, i Petit,
e i Tennessee Claflin Shope
avete scoperto con la saggezza che tanto vantate,
quanto è difficile alla fine
evitare che l’anima si frantumi in minuscoli atomi.
Mentre noi, cercatori di tesori terreni,
procacciatori e incettatori d’oro,
siamo padroni di noi stessi, compatti, armonici,
fino all’ultimo.
-Edgar Lee Masters-