Il compianto Renzo Montagnani è Gulfardo De’ Bardi, mentre il cantautore Don Backy (anche responsabile della colonna sonora col suo vero nome Aldo Caponi) è l’amico Folcacchio Folcacchieri, entrambi incaricati dal priore di Borgo d’Elsa, loro paese natio, di recare un’ambasciata al vescovo di Volterra.
Diretto dal Franco Rossetti sceneggiatore, tra l’altro, di Zabriskie point (1970) di Michelangelo Antonioni, prende il via da questo semplice pretesto Una cavalla tutta nuda (1972), destinato a proseguire con il secondo dei due che, incontrata sul proprio cammino la bella contadina Gemmata alias Barbara Bouchet, moglie del sempliciotto contadino Niccolò incarnato da Leopoldo Trieste, fa credere all’uomo di poterla trasformare in cavalla tramite un rito atto a svestirla.
Perché, con accento toscano a fare da padrone, è dalle pagine del Boccaccio che attinge la oltre ora e quaranta di visione, destinata a proiettare verso il filone commerciale poi ribattezzato “decamerotico” ciò che Pier Paolo Pasolini aveva iniziato – con intenti più colti – tramite Il decameron (1971).
Oltre ora e quaranta di visione con Vittorio Congia nel cast e la cui divertente coppia protagonista, in seguito ad una serie di disavventure, non manca neppure di trovarsi condannata a morte sul rogo e di affrontare una scazzottata alla maniera di Bud Spencer e Terence Hill.
Oltre ora e quaranta di visione che sono Dynit e Minerva pictures a rispolverare su supporto dvd; come riesumano dal dimenticatoio anche quel Prigione di donne (1974) che, a firma del Brunello Rondi fratello del noto critico cinematografico Gian Luigi e regista de Il demonio (1963) e Racconti proibiti… di niente vestiti (1972), intende raccontare violenza e morbosità nell’inferno di un carcere femminile.
Del resto, con Marilù Tolo e Luciana Turina incluse nel mucchio, la vicenda raccontata pone Martine Brochard nel ruolo di una giovane turista francese a Roma che, penetrata in una grotta sull’Appia Antica dove alcuni giovani stanno delirando tra i fumi della droga, viene incastrata, arrestata e tradotta in un penitenziario per sole donne in attesa di giudizio.
Con la conseguenza che, prima che si svolga il processo e che la sua innocenza venga riconosciuta, si trova costretta a sperimentare il sadismo delle secondine e lo spirito disumano delle suore di servizio, tra violenze assortite, ispezioni rettali, rivolte, lesbismo e immancabili docce di gruppo con abbondanza di carne in esposizione.
Al servizio di un elaborato rientrante a tutti gli effetti nel famigerato sottogenere wip (women in prison), ma i cui evidenti intenti di denuncia non faticano a richiamare alla memoria anche l’illustre Detenuto in attesa di giudizio (1971) di Nanni Loy.
E, tornando alla commedia, sono sempre Dynit e Minerva a riscoprire per il mercato dell’home video digitale Due cuori una cappella (1975) di Maurizio Lucidi (La vittima designata e Il marito in vacanza nel curriculum), ovvero uno dei primi lungometraggi per il grande schermo interpretati dal comico Renato Pozzetto, il quale, impegnato a concedere anima e corpo al tanto bizzarro quanto ingenuo inventore Aristide, provvede a strappare risate con i suoi surreali sproloqui già nel corso dell’iniziale dialogo con la madre prossima alla morte.
Madre che gli lascia tutti i gioielli guadagnati in anni di attività di usuraia e che Aristide decide di sotterrare nella cappella di famiglia; divenendo poi l’amante della bella Claudia, con le fattezze di Agostina Belli, in verità sposata al malvagio Victor che presenta i connotati di Aldo Maccione, reduce dalla galera e che lo coinvolge nel rapimento di una bambina.
Man mano che, in mezzo ad esilaranti battute, incontri con prostitute ed equivoci, fanno anche brevi apparizioni Alvaro Vitali, Mario Brega, Massimo Boldi e il succitato Trieste, rispettivamente nei panni di un taxista, un macellaio, un sacerdote ed il custode di un cimitero… senza contare la ex Bond girl Ursula Andress nella parte di se stessa.
Francesco Lomuscio