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cavalli selvaggi (ma senza McCarthy)

Creato il 02 luglio 2015 da Omar
cavalli selvaggi (ma senza McCarthy)a ottanta anni suonati, l'attore premio Oscar Robert Duvall non è decisamente stanco del ruolo del cowboy burbero e poco disposto al compromesso: dopo averlo interpretato un numero abbastanza esagerato di volte (la migliore, forse, in quell'Open Range che riportò Kostner nei nostri cuori) ne ha rivestito di recente i panni per il dramma multigenerazionale Wild Horses (2015), un western contemporaneo che il roccioso attore ha anche scritto e diretto per il grande schermo.cavalli selvaggi (ma senza McCarthy)Duvall interpreta qui con la solita struggente convinzione il personaggio di Scott Briggs, un macho, bigotto proprietario di un grande ranch in Texas in cerca di riscatto con i suoi tre figli adulti (tra cui un ottimo Josh Hartnett, sempre - ci secca ammetterlo! - figaccione nonostante l'avanzare dell'età), uno dei quali (James Franco, ormai - vivvaddio! - abbonato ai ruoli un po' borderline) ha cacciato di casa a fucilate 15 anni prima dopo averlo sorpreso nella stalla nel cuore della notte assieme a un giovane rancher omosessuale di nome Jamie, in seguito scomparso. Ma mentre l'anziano vaccaro deve fare i conti con il crepuscolo avanzante della propria esistenza, una nuova inchiesta sulla scomparsa del ragazzo, allestita con impegno e caparbietà dalla Ranger locale (Luciana Duvall, nella vita moglie della star, purtroppo dotata di capacità interpretative equivalenti a quelle di uno stoccafisso), capovolge i suoi accurati piani di affossamento della verità, disvelando lentamente tutti i segreti del passato.cavalli selvaggi (ma senza McCarthy)Si scorge prepotente l'impronta dei melodrammi regionali di John Sayles nel mix di tragedia domestica, umorismo machista e mistero sotterraneo che sorregge la storia. Ma se nulla si può eccepire al Robert Duvall attore, abilissimo a indossare i vestiti dell'ennesimo uomo posto di fronte una inevitabile resa dei conti (tonalità che già caratterizzava il suo magistrale L'Apostolo, uno dei capisaldi della cinematografia southern-gothic), come narratore e regista questa volta perde il filo - e la nostra attenzione - una volta di troppo diluendo le vicende in un mare di conversazioni poco brillanti e lacerti di trama un po' banali.I momenti migliori sono sicuramente i confronti tra Duvall e il figlio gay Franco, interpreti formidabili che rappresentano diverse epoche culturali e che sono perfettamente in grado, con pochi guizzi, di rimestare nelle acque torbide di un rapporto padre-figlio contuso da sviste d'amore e di peccato. C'è un genuino dolore e una sincera speranza nei loro scambi, ma tutto il loro potere è diluito dalla stranamente inconcludente forza motrice della pellicola. Peccato, comunque interessante.

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