Magazine Cinema
Durata: 90'
La trama (con parole mie): nel 1994, nel cuore della valle dell'Ardeche, in Francia, venne scoperta per caso da tre esploratori una caverna destinata a cambiare la storia dell'archeologia e dell'arte rupestre. La Grotta di Chaveau, dal nome di uno dei tre scopritori, infatti, a seguito di una frana che la richiuse rendendone impossibile la scoperta circa millenni or sono, conserva ancora in condizioni perfette scheletri di animali e segni di pitture risalenti addirittura a trentacinquemila anni fa, i più antichi mai scoperti al mondo.Ottenuto un permesso speciale dal Governo francese, Werner Herzog ed una troupe limitatissima per numero e mezzi si inoltrano nelle sue profondità per scoprire la meraviglia di una Terra ormai scomparsa, tracciando un ideale parallelo misto di Fede e Scienza in grado di superare il Tempo e lo Spazio.
Da anni ormai, uno dei grandi del Cinema del Vecchio Continente, quel Werner Herzog responsabile di Capolavori quali Aguirre furore di dio, Fitzcarraldo o L'enigma di Kaspar Hauser, ha deciso di concedere molto del suo tempo e del suo talento al documentario, regalando di conseguenza al pubblico vere e proprie magie quali Grizzly man, Il diamante bianco e L'ignoto spazio profondo, degni eredi della grande tradizione che lo stesso Herzog creò con Apocalisse nel deserto e Kinsky: il mio nemico più caro.Nonostante queste meraviglie, nell'ultimo paio d'anni - complice una distribuzione come sempre avversa - avevo perso la strada del cineasta di Monaco e delle sue opere, lasciando passare quasi come se non fosse esistito un gioiellino come questo Cave of forgotten dreams, una perla in grado di incollare allo schermo dall'inizio alla fine, finendo per far esplodere nel cuore dell'audience domande da più che massimi sistemi.Girato con mezzi pressochè di fortuna, una troupe ridotta ed un approccio quasi amatoriale, questo documentario rende possibile anche all'occhio del radical chic pù sfrenato la grandezza del Cinema di Herzog, come sempre intento ad indagare il rapporto tra Uomo e Natura, Fede e Scienza: le interviste agli studiosi quotidianamente al lavoro nella grotta, i dettagli del loro lavoro ed il rapporto tra le considerazioni tecniche e le sensazioni - interessante il caso del giovane archeologo che, dopo un primo periodo di permanenza nella grotta e strani sogni, sceglie di studiare e mappare l'area solo dall'esterno -, gli interrogativi che sorgono nel momento in cui ci si trova di fronte al silenzio di una "bolla" rimasta sigillata per ventimila anni, di fronte a disegni tracciati da un uomo con un dito più piccolo e arcuato decisamente alto per l'epoca - circa uno e ottanta, assicurano gli studi - autore della maggior parte delle pitture all'interno della Chaveau, quasi avesse firmato i suoi lavori, sono tutte testimonianze di una ricerca che va oltre il Cinema e le sue forme, e riducendo praticamente all'osso lo stile e tutto quello che ne consegue traccia una via in grado di offrire ad un tempo meraviglia e commozione, terrore ed un brivido di fronte a quella che, di fatto, è la grandezza di questo tutto di cui facciamo parte.
Senza soffermarci troppo sulla storia della caverna e sui progetti che stanno fiorendo nell'area attorno alla scoperta - non ultimo quello di un parco tematico che permetterebbe grazie ad una replica perfetta anche ai turisti di osservare la conformazione della Chaveau, altresì interdetta all'accesso dei non addetti ai lavori in modo da preservarne le condizioni climatiche interne -, alle ricerche e al lavoro incredibile che questo team di studiosi - così come la troupe del regista - hanno svolto e svolgono in una situazione che richiede attenzione e cura particolari in condizioni assolutamente uniche, la cosa più straordinaria della visione nasce dal confronto con il volto dell'Uomo di allora, il pittore che, in un'epoca così straordinariamente lontana e per noi inimmaginabile, segnava con i palmi delle mani una caverna che sarebbe giunta intatta fino a noi, un'istantanea fuori dal tempo per noi "prigionieri del tempo", come afferma lo stesso Herzog.
E sfiorando vette di poesia da pelle d'oca - il concetto del doppelganger ed il pensiero sulle orme affiancate di quelli che dovevano essere un bambino ed un lupo, che forse entrò nella grotta accanto al piccolo, o chissà, per sbranarlo, o ancora, a distanza di millenni - ed altre di quasi comicità - la dimostrazione dell'utilizzo dei giavellotti che le tribù di umani sfruttavano per cacciare -, l'uomo dietro la macchina da presa prova ad immaginare un mondo che non è il nostro almeno quanto il nostro non sarà quello del futuro, in un'epoca così lontana che ora non ci parrebbe neppure possibile.
E con il post-scriptum conclusivo, con un occhio sullo sfruttamento delle centrali nucleari ed un altro sui cambiamenti climatici che coinvolgono molti ecosistemi sul pianeta, passiamo ad osservare da vicino grazie ad immagini incredibili due coccodrilli albini cresciuti in un ambiente tropicale nato proprio a seguito della costruzione di uno degli impianti più grandi di Francia a poca distanza dalla caverna di Chaveau, quasi fossero loro i prossimi abitanti di quella insolita capsula del tempo, come del nostro mondo.
O almeno, del mondo che crediamo possa essere nostro, ma che, di fatto, appartiene soltanto a qualcosa che tentiamo di rappresentare e che, chissà, forse qualcuno osserverà tra trentamila anni mutandolo attraverso il suo sguardo.
MrFord
"You can see it and you can almost hear it too,
you can almost taste it, it's nought to do with you
and there's still nothing that you could do.
So come in my cave
and I'll burn your heart away
come in my cave,
and I'll burn your heart away."
Muse - "Cave" -
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