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Cavour Cacciatore di Vampiri 2 – Capitolo 6: il Cacciatore di Mostri

Creato il 17 marzo 2013 da Elgraeco @HellGraeco

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Attenzione! La seguente è un’opera di fantasia dai contenuti violenti, inadatta ai minori di spirito

16 Dicembre 1844

«Ti sei affezionato alle cucine?»
Pietro toglie la mano dal sedere di Maria, la mia serva. Il viso le diventa color fuoco, uguale a quello che scoppietta nel camino, sotto il tegame d’ottone colmo di bollito.
Lui le sfila il mestolo gocciolante dalle mani e assaggia, fa cenno di sì, lo getta nella pentola e viene a sedersi. Lei lo guarda sottecchi, silenziosa, si mette a preparare.
Getto il libro e il faldone di pelle sul ripiano di marmo. Quest’ultimo si slaccia, vomitando una coppia di missive ingiallite, come fosse una mano di Baccarà. Germaine prende posto dall’altro lato, su una panca, sorridendo maliziosa.
«Ho tenuto un diario, in questi ultimi… sette anni» annuncio. «Ero ambizioso, e spaventato…» Sospiro. «Intendevo dire, lo diventerò
La serva posa il piatto davanti a Pietro, tenendolo dal bordo, intenta a ciò che farfuglio. Lui le afferra il polso, spostandole la mano, con delicatezza. Lei s’allontana verso il fuoco, il capo sempre chino.
«Spiegami, di nuovo.»
Pietro annuisce, prende il sacchetto di monete appeso alla cintura, lo posa sul tavolo davanti al boccale colmo di vino rosso, ne estrae una Lira, la adagia sul sacchetto.
Si mette pollice e indice agli angoli della bocca e fischia alla ragazza, che ritorna strofinandosi le mani sul grembiule sudicio.
Le fa cenno di chinarsi, come a sussurrarle nell’orecchio. Quando lei esegue, docile, insinua una mano nella scollatura. Le strappa una protesta, e la cordicella con un piccolo crocifisso di ferro.
Mando via Maria con un cenno severo.
Pietro fa saltare la moneta con la punta del dito. La Lira si mette a rotolare arrivando fino a me. La fermo schiacciandola col palmo della mano.
Al posto della moneta, sulla borsa ci piazza il crocifisso.
Prendo la moneta, sul verso c’è la croce sabauda, fregiata da rami d’alloro, sul dritto l’effigie di Carlo Alberto*.
«Mi stai dicendo che Papa Gregorio** è interessato alle casse piemontesi? Che lui ha a che vedere con quello che è successo al Re?»
Solleva le spalle, poi raccoglie una cucchiaiata di bollito in bagnet verde.
«E da quanto intrattengo rapporti epistolari con Mazzini?»
Scuote la testa, lento, mastica il boccone.
«Cristo! E cosa ha a che fare la Creatura con tutto questo?»
Germaine posa una mano sulla mia. Incontro i suoi occhi castani. La sfilo con tutta la gentilezza di cui sono capace, esco.

Moneta da 1 Lira di Carlo Alberto (1843)

Moneta da 1 Lira di Carlo Alberto (1843)

Nella camera degli ospiti, trovo il medico che tasta il moncherino di Lamia, strappandole gemiti. Prende l’estremità del filo di cotone scuro che spunta dalla fasciatura e lo tira via. Sgorga un grumo di pus giallo.
Il dottore s’avvede della mia presenza. Insieme allo sguardo arriva il puzzo, una folata acida.
«Oh, Vostra Eccellenza, speravo di incontrarla, prima di congedarmi!» fa.
«Che novità?»
Si alza, solleva le maniche fino ai gomiti e si lava nella bacinella sul treppiedi di ferro brunito. S’asciuga con lo straccio di cotone. «Bene, direi. La ferita migliora. Nei prossimi giorni, a poco a poco rimuoveremo tutti i punti. Per allora l’ematoma sarà assorbito insieme al pus. Sopravvivrà.»
Si ricompone, prende la borsa dei ferri e mette la bombetta tra busto e braccio. «Col vostro permesso.»
Maria s’affaccia col vassoio, mentre il medico esce. Quasi si scontrano.
Glielo prendo, richiudo la porta con la punta dello stivale. Mi sistemo sul bordo del letto, rimesto la zuppa. C’è odore di chiuso, malattia e unguenti, come in trincea, il tutto misto al bollito caldo, al manzo e al maiale fusi assieme.
Allungo un braccio e regolo lo stoppino del lume acceso. Fa più chiaro.
Lamia è rimasta a osservarmi tutto il tempo. «Siete pazzo, sapete?» Sorride.
«Perché mi prendo cura di voi?»
«Perché vi prendete cura di me… Anche se è proprio a causa vostra, che sono qui.»
Riempio un cucchiaio e la imbocco.
Riprende a parlare masticando: «Anzi, si può dire che è a causa vostra che… è successo tutto quel che è successo.»
Le porgo un altro cucchiaio.
«Ve la sentite di raccontarmelo?»
«Ah! E cosa posso saperne io?»
Un altro ancora. Raccolgo con l’arnese un goccio di zuppa scivolato dall’angolo della bocca.
«Che intendete?»
«Siete voi… che avete ammazzato voi stesso, tornando giovane. Siete voi che dovete raccontare, non io.»
Raccolgo ancora un cucchiaio, lo assaggio. «La cucina di Maria migliora…»

lume
Poso il vassoio sul comodino, poi ispiro e scatto, afferrandole la gola con la mano. Lamia spalanca gli occhi e tutto ciò che le esce di bocca è un colpo di tosse misto a saliva e zuppa. Tenta di sottrarsi, ma è debole. Fin troppo.
«Quasi ogni notte un mostro dell’inferno viene a parlarmi…» ringhio, schiacciandola contro il giaciglio, «Vedo il vuoto nei suoi occhi… Mi sussurra all’orecchio la fine dei tempi, il buio, il sangue. Non ho nulla, da spiegare, capite!? Nulla!» urlo. «Ogni cosa è dubbio!»
M’accorgo del suo volto livido, le vene gonfie sulle tempie, gli occhi bagnati. Mollo la presa, soffoco una bestemmia. Mi dirigo alla finestra e la spalanco.
L’aria gelida mi sferza il viso pungendomi gli zigomi. I pugni stretti sul davanzale, scruto il cielo coperto carico di neve.
Il buio mi porta un ululato, dal profondo.
Lamia tossisce ancora.
«Perdonatemi, perdonatemi…» bisbiglio.
«Sono vampiri, Cavour. Ch’io sia dannata…»
Mi volto.
Lei sistema il moncherino sul cuscino di piume, con una smorfia. S’adagia alla spalliera di legno scuro.
Solo in quel momento la vedo, pallida, in contrasto coi capelli corvini, e vedo anche il crocifisso inchiodato al muro, sopra di lei.
«Ciò che crediamo di sapere su di essi non conta. I più antichi sono addormentati, oppure così vegliardi che hanno smarrito il senso della propria esistenza, la memoria, e insieme il loro corpo. Non hanno alcuna forma. Viaggiano insieme all’Umanità, nei secoli, come noi progenie divina, come noi mirano a divenire Dei loro stessi.»
«Ma che dite…»
«Alcuni di essi sono convinti che per riuscire nell’impresa debbano sacrificare quanto di più vicino a Dio gli riesca di trovare, fino ad avere potere a sazietà, fino a mutare. Capite, Cavour? Era questo che cercavo di fare, volevo sacrificarne uno, come fanno loro con noi; per carpire il loro potere, per comprendere il disegno, almeno in parte.»
«E mi avete…»
«E vi ho usato, sì. Ma non sapevo di voi, la vostra fama non è sconfinata, che credete?»
«E allora, chi?»
«Il Vescovo di Roma, è lui che ha riempito d’oro le mie tasche, che ha pagato la missione, che v’ha spiato. Vi osserva da anni, da quando in Francia giocavate al Conte Cacciatore di Mostri.»
«E il Papa, che cosa…»
«Il Papa vuole i soldi, maledizione! La ricchezza del Piemonte!» Tossisce. «E se nell’impresa gli riesce di diventare immortale, tanto di guadagnato. Cosa volete che sia, l’incerto Regno dei Cieli, di fronte alla sicura Immortalità?»
«E voi dovevate consegnare Germaine, e tenere fede al patto; ma avete scelto di tradire…»
Ride. «Ero sicura, fin da quella notte, che quello tra le lenzuola non era il vostro unico talento.»

(continua…)

* Carlo Alberto Amedeo di Savoia, Principe di Piemonte e Re di Sardegna dal 1831 al 1849
** Gregorio XVI, Papa dal 1831 al 1846

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