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Cavour Cacciatore di Vampiri – Capitolo 14: L’Urlo

Creato il 01 luglio 2012 da Elgraeco @HellGraeco

Cavour Cacciatore di Vampiri – Capitolo 14: L’Urlo

Attenzione! La seguente è un’opera di fantasia dai contenuti violenti, inadatta ai minori di spirito.

31 Dicembre 1835

«Ehi… sei proprio sicuro che sei venuto per scopare?»
La puttana ha la faccia rugosa, la parrucca nera consunta e arruffata, il finto neo accanto alla coda dell’occhio perso nel rosso del trucco eccessivo.
Sorride, gli incisivi separati che ci può passare un carro, in mezzo. Dice d’essere piemontese.
Do un’ultima boccata dalla pipa, l’aroma dolciastro dell’oppio si sparpaglia insieme al fumo azzurrino. La lascio cadere sul tavolino insieme alla candela, che ruzzola e finisce a terra accesa.
Lei s’affretta a raccoglierla. «Lo dicevo io…» armeggia, «Bah, soldi tuoi, bello.»
Resisto all’impulso di sdraiarmi. «Proprio così… soldi miei.» Camuffo l’accento, per quanto mi riesca. Tasto la guancia rasata, controllo vicino alle basette se la tintura nera è venuta via.
Faccio per mettermi a posto gli occhiali con la punta del dito, ma non ci sono. Finisco per grattarmi il naso.
Lei si china, armeggiando con la patta dei calzoni. Continua a sorridere.
Guardo il resto della stanza, sfocata insieme ai riflessi del braciere. Resto ad ascoltare i gemiti ottusi dalla porta e dal corridoio, in cerca d’una nota di dolore. Difficile distinguerne.
Scosto la puttana con il braccio, mi alzo.
Arrivo alla porta che ancora bestemmia, seduta sul letto. M’affaccio al corridoio.
«Cupio di merda.» inveisce.
Mi volto di scatto, a muso duro. Sobbalza. «Hai sentito di quel bordello andato a fuoco? Era qui in zona…» bofonchio.
«Sì, dev’essere stato un altro cupio come te! Che fai sulla porta? Pure guardone!»
Le faccio cenno di tacere. Il corridoio è buio, percorso da lamenti finti e grugniti soddisfatti. Faccio un passo in avanti, richiudendo la porta.
La fascia di luce sul muro si riduce fino a scomparire.
C’è tanfo di sudore e profumo spruzzato a mascherare le pudenda luride e grasse.
M’avvio facendo qualche passo, tenendomi al muro. Le linee lucenti sotto le porte ondeggiano.
M’accorgo d’avere l’affanno. Altre tre porte, una a chiudere il corridoio, le restanti ai lati. Quella sulla destra è aperta. Dall’interno sprigiona una foschia azzurra.
Una mano accarezza lo stipite, unghie aguzze, nere. Un uomo urla, la puttana che è con lui incita, svogliata.
Scorgo il braccio e la spalla magra, avvolta di velluto scuro, che termina su una nuca glabra e orecchie deformi. La creatura si volta lentamente.
Inciampo e cado ginocchio a terra, sforzandomi di non incrociarne lo sguardo.
Un’altra porta di spalanca alle mie spalle. La puttana s’infila il medio nella bocca che è una O, canzonandomi. Si volge e s’avvia per le scale.
Mi sforzo d’alzarmi e seguirla, coi brividi sulla nuca, cercando di non rovinarle dietro dalla paura.

Cavour Cacciatore di Vampiri – Capitolo 14: L’Urlo

Il portone del bordello viene chiuso a quattro mandate. Il padrone s’è preso la borsa con gli spiccioli, per il disturbo che ho arrecato.
Barcollo nel freddo della notte fino al terzo angolo, il respiro si fa fumo.
Lì dietro, appoggiato al carretto, c’è Pietro. Tracanna del vino da una fiaschetta di vetro nero.
Accanto al carico coperto da panni scuri, spunta il viso di Germaine, incorniciato nel cappuccio del mantello.
«È qui» sussurro.
Lei mi fissa immobile.
«Non mi ha riconosciuto… spero.»
Pietro si solleva con una botta di reni, allarga le braccia e pesta i piedi in terra. Lancia la bottiglia a Germaine, che la prende al volo e attacca a bere. Accende, lesto, il lume d’ottone. Col coltello estratto dalla cintola, trancia una delle funi, scosta il panno, scopre il legno dei barili; l’aquila nera bicefala, con spada, scettro e tiara, impressa a fuoco sul dorso, si staglia cattiva e silente.
«Non vorrai far saltare l’intero palazzo!» bisbiglio.
Fa spallucce, intento a scoprire il resto.
Un ronzio accosto all’orecchio. Mi scosto veloce, urtando contro il muro. La fatina resta a mezz’aria, braccia e gambe appese, occhi d’insetto su cui si rifrange la lingua di fiamma del lume.
Pietro solleva il coltello, lento e silenzioso. Gli faccio cenno di aspettare.
Essa si sposta rapida come le ali d’un passero, compie uno, due, tre segmenti in aria, poi schizza lungo la strada. Nella penombra del baluginare delle torce dei vicoli, la vediamo intrufolarsi tra le grate limacciose d’un canale di scolo.
«Trovami un tombino!»
Pietro sbuffa, s’avvia. Germaine va in direzione opposta, lungo la viuzza d’ocra.

***

7 Dicembre 1844

Cavour Cacciatore di Vampiri – Capitolo 14: L’Urlo

L’adoratore viene centrato al petto, dove s’apre una rosa dai petali guizzanti. Cade, un secondo incespica su di lui. E ne sopraggiungono altri, li calpestano.
Pietro è ancora avvolto nel fumo bianco, quando solleva la pistola e blocca un colpo di bastone con l’avambraccio. I ciondoli all’estremità superiore risuonano, cozzando l’un con l’altro. La bocca di Pietro si serra, mentre l’altra mano proietta il coltello ricurvo, in un rapido arco, nella pancia dell’assalitore.
Quello si piega, ginocchia a terra.
Pietro lancia la pistola addosso a un altro che gli è appresso, che solleva le braccia a coprire il viso.
Una donna ringhia al mio indirizzo, mi distoglie.
La vedo che si scaglia addosso, la bocca in un ghigno.
L’accolgo con la pianta dello stivale sulla pancia. Cade all’indietro, portando un altro con sé. Sollevo la pistola verso quello che la segue, preparo il coltello impugnandolo saldo.
Un ruggito forte, coperto, rinchiuso. La torma zittisce e si fa immobile, mentre la Dama comanda d’attaccare e squartarci, di portarle le nostre teste. Poi arretra, le labbra una fessura minuscola, osserva qualcosa, il volto d’orrore.
L’altare è verniciato di strisce di sangue.
Il coperchio del sarcofago salta, e con esso Germaine. Una mano scheletrica s’afferra al bordo, assestando unghiate che risonano acute nel silenzio causato.
S’affaccia un braccio coi muscoli asciutti, attaccati alle ossa, i nervi a fasce. La testa e il busto.
Calvo il capo, occhi vitrei macchiati di giallo e nero. La sua rabbia si sfoga in un urlo che rimbomba fin nella mente.
Un urlo già udito.
Giù, dal passato.

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