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CCSVI e Sclerosi Multipla: dopo tre anni, il punto della situazione (Dr. P.M. Bavera)

Creato il 29 giugno 2013 da Yellowflate @yellowflate

baveraCCSVI: dopo tre anni, il punto della situazione.

Dr. Pietro Maria Bavera

Chirurgo Vascolare – Università di Milano.

Ancora oggi mi sento chiedere da amici, molti dei quali medici, la solita domanda di rito: “allora questa CCSVI ( Chronic Cerebro Spinal Venous Insufficiency) esiste davvero?”

Rispondo dicendo che non esiste patologia del corpo umano che non sia in qualche maniera legata a un problema vascolare, sia esso diretto o indiretto.


Possono fare eccezione alcune patologie ortopediche ma la loro corretta guarigione è in qualche misura correlata a una buona vascolarizzazione e le complicanze sono frequentemente secondarie a fattori vascolari.

Per quanto riguarda specificatamente le patologie neurologiche, queste sono più o meno correlabili a problematiche vascolari e vice versa. Il sangue è ovunque e una sua anomala perfusione in qualche maniera è causa di una patologia. La distinzione va semmai fatta sulla base dell’anomalia vascolare, cioè se questa è arteriosa (quindi in genere ischemica o gravemente emorragica) piuttosto che venosa (quindi tromboembolica, con edemi, stasi, ulcerazioni, discromie, depositi di emosiderina, eczemi, e molte altre complicanze ancora che generalmente rientrano nel termine generico di insufficienza venosa cronica).

In pratica non esiste organo o apparato che non abbia una sequela di patologie, o complicanze, secondarie a un problema vascolare, arterioso o venoso che esso sia.

La difficoltà potrebbe essere nell’identificare, localizzare oppure quantificare; in pratica diagnosticare il problema. La diagnosi è la base della cura e questa spesso consiste di più elementi e anche il coinvolgimento di più persone.

L’importante è conoscere le proprie capacità e i propri limiti..

Sono passati tre anni da quando ho iniziato a fare ecoDoppler  per la ricerca di questa “anomalia venosa” e, dopo aver eseguito più di 1600 esami e conosciuto una realtà di una malattia straziante e piena anche di “situazioni umane” oltre che di persone magnifiche, penso poter dire la mia.

Tuttavia penso che la risposta parta da lontano riportandomi idealmente tra la fine degli anni ’70 ed inizio anni ’80 quando, ancora giovane, affrontavo i testi “sacri” dell’angiologia e della chirurgia vascolare. La diagnostica strumentale si faceva con strumenti molto diversi rispetto a quelli di oggi, quali l’oscillografia e la pletismografia. Poco dopo arrivò il Doppler CW, ad onda continua, che richiedeva una abilità anche uditiva nel saper interpretare la presenza di una stenosi “emodinamicamente significativa”. Eravamo dei pionieri della diagnostica strumentale.

Gli ecoDoppler arrivarono attorno a metà degli anni ’80 ed erano inizialmente una prerogativa dei cardiologi. Il primo ecoDoppler vascolare, a colori, che arrivò al nostro Istituto Universitario di chirurgia vascolare fu un “Quantum” della Philips ed era grosso e pesante come un armadio, muoverlo era una sfida anche fisica. Da quel momento ci fu un susseguirsi di apparecchi di svariate marche e capacità specifiche con prestazioni sempre più esasperate. Per noi giovani medici fu come partire dall’ABC della diagnostica strumentale per poi avere le conferme, o smentite, direttamente dalla sala operatoria. Oggi ci chiamano veterani della diagnostica vascolare.

Uno dei “testi sacri” sui quali si studiava era allora la seconda edizione di “Vascular Surgery , Henry Haimovici Editor” del 1984. Il capitolo 64 era dedicato all’insufficienza venosa cronica profonda ( Chronic Deep venous Insufficiency) che naturalmente all’epoca corrispondeva agli arti inferiori. Riscrivendo testualmente, le prime righe del capitolo sono le seguenti: “ Chronic deep venous insufficiency of the lower extremity is a clinically recognized syndrome due to dysfunction of venous outflow. It is caused most commonly by defective venous valves and less often by obstruction to the venous return…”. La descrizione da sola focalizza l’importanza del sistema valvolare del circolo venoso. Il capitolo si rivolge agli arti inferiori, dove le problematiche sono chiaramente visibili e la popolazione coinvolta risulta enorme, così come il costo sociale del problema.

Con il trascorrere degli anni mi sono imbattuto sempre più spesso in malati disabili soprattutto neurologici con gravi limitazioni alla deambulazione se non totalmente dipendenti dalla carrozzina o ausili particolari.

La mia attenzione si è poi particolarmente focalizzata sulla frequenza degli edemi da disuso presenti nel reparto di sclerosi multipla.

Assieme a colleghi del reparto ed esperti di trombosi, mi sono concentrato sullo studio di  malati di sclerosi multipla, non deambulanti, riscontrando una impressionante frequenza di TVP agli arti inferiori in malati affetti da sclerosi multipla rispetto ad altri malati con altre patologie neurologiche.

Thromb Res. 2010 Apr;125(4):315-7.10.1016/j.thromres.2009.06.023. Epub 2009 Jul 29.


Risk of deep venous thrombosis (DVT) in bedridden or wheelchair-bound multiple sclerosis patients: a prospective study.Arpaia G, Bavera PM, Caputo D, Mendozzi L, Cavarretta R, Agus GB, Milani M, Ippolito E, Cimminiello C.

Alla conclusione dello studio, che è durato circa due anni, il 42% dei pazienti studiati risultava interessato da TVP in atto oppure in esiti, anche con recidive. In altre parole il ritorno venoso degli arti inferiori che era già difficoltoso per la mancanza della “pompa venosa”, risultava particolarmente anomalo.

Per tornare alla domanda sulla CCSVI, e dare quindi una risposta sul fatto che esista realmente o meno questa anomalia occorre a parer mio, avere una giusta conoscenza, un “background”, adeguato sulla insufficienza venosa cronica in generale. Questa competenza non si sviluppa e non si può nemmeno capire senza aver fatto tutte le tappe di apprendimento sia cliniche che diagnostico strumentali.

I danni che l’insufficienza venosa cronica agli arti inferiori può comportare sono evidenti a tutti, la cute discromica e anelastica spesso eczematosa e le ulcere cutanee sono visibili a chiunque ma i meccanismi che conducono a questa situazione sono comprensibili solo agli addetti ai lavori.

I Dermatologi talvolta sono coinvolti quando ci si trova con delle situazioni cutanee particolari e il lavoro diventa quello di una sana e corretta collaborazione a favore del paziente.

Lo stesso avviene per la collaborazione che si pone con gli Ortopedici quando a noi, Angiologi e Vascolari, è richiesta la consulenza per prevenire o curare una TVS (trombosi venosa superficiale) o TVP ( trombosi venosa profonda), talvolta persino operare varici prima dell’inizio di un intervento ortopedico.

Ora, volendo immaginare una situazione simile a quello che accade al sistema venoso profondo degli arti inferiori ma trasportato ai vasi del collo, ci si potrebbe avvicinare a capire meglio la CCSVI. Sono stati ormai pubblicati diversi articoli in merito a questa problematica ma quasi sempre su riviste altamente riservate agli “addetti ai lavori” per patologie neurologiche degenerative progressive.

Allora, tornando ai vasi del collo, noi Medici ci poniamo sempre il problema del sangue che deve arrivare al cervello, ma poca attenzione è solitamente dedicata a quello che esce dalla scatola cranica. Eppure viene logico pensare che questo meccanismo deve o dovrebbe essere in perfetta parità, tanto entra e tanto esce. Qui sta, in termini piuttosto semplificati, il nocciolo della questione: in una consistente percentuale di malati affetti da patologie neurologiche degenerative progressive il bilancio è nettamente a sfavore della corrente ematica in uscita.

Tralasciando, per ovvia competenza, gli aspetti nettamente neurologici e concentrandoci su quelli vascolari, ci si potrebbe anche solo minimamente immaginare l’aspetto intra o peri cranico in una situazione di scarso ritorno venoso.

Si è visto, sia all’ecoDoppler prima che con flebografie ed angioRM poi, che il problema venoso è o può essere secondario ad una agenesia, cioè qualche alterazione dello sviluppo e crescita, delle giugulari interne( ipoplasiche, cioè di calibro ridotto o che non si sono mai sviluppate o persino mancanti) ma molto sovente da una disfunzione del meccanismo valvolare. Questa condizione paradossalmente comporta spesso anomali reflussi del sangue in senso craniale, quindi contro corrente, e scarso ritorno verso il sistema cuore- polmoni. Queste condizioni cambiano con il variare della posizione del paziente.

Il vantaggio dell’indagine ecoDoppler è di permettere una valutazione “dinamica” della situazione con paziente sia sdraiato che seduto con manovre respiratorie che interagiscono direttamente con l’esame. Queste situazioni non sono certamente possibili con la flebografia o angioRM.

E’ abbastanza assurdo che a distanza di tre anni, decine di pubblicazioni scientifiche e centinaia di malati trattati, ci si trovi ancora ad avere una condizione di confusione sia tra i medici oltre che tra i pazienti.

Dal mio punto di vista, che cerco volutamente spiegare con termini semplici, le osservazioni sono molteplici nel fare un’analisi che si basa sui miei dati riassunti dopo oltre 1600 esami per CCSVI, la metà circa in controlli post PTA.

Per una volta non sono propriamente i numeri che voglio analizzare ma le situazioni che ricavo dai miei dati e dagli infiniti colloqui che ho raccolto da “non neurologo”.

Prima di tutto l’informazione, che è tanta, troppa e sovente contrastante, a volte che rasenta il terrorismo.

Gli articoli scientifici scritti e pubblicati non sono facilmente comprensibili per i pazienti e i loro familiari e questo è normale visto che veramente pochi hanno una preparazione medico scientifica (senza offesa per nessuno) da poter tradurre in termini semplici queste informazioni.

Anche i diversi medici specialisti sono in parte complici di questa situazione poiché spesso chiudono “la pratica” semplicemente affermando di non credere nella CCSVI senza nemmeno essersi documentati. Infatti, chiedendo loro cos’è che non li convince si chiudono in un mutismo preoccupante. Paradossale è che i medici più curiosi e chiedono informazioni sono i pediatri piuttosto che ginecologi o cardiologi  oltre che i fisiatri e fisioterapisti. Questi ultimi sono quelli che hanno spesso i contatti più diretti con i malati.

I risultati degli ecoDoppler sono troppo spesso contrastanti tra loro. Purtroppo questo è un limite importante ed una osservazione frequente. Ho già detto e ribadito più volte che questo esame non è puramente macchina dipendente bensì in gran misura dipende dall’operatore che si dovrebbe poi anche confrontare con lo specialista che eventualmente interverrà. Questo esame è “dinamico” racchiude tante varianti che vanno dalla collaborazione del malato, la sua posizione, la postura abituale durante la deambulazione e a riposo.

Anche la postura, e conseguenti movimenti compensatori di strutture muscolo tendinee, può giustificare per alcuni la riuscita di interventi mentre per altri no. Andare a dilatare una vena che è talvolta attanagliata da fibre tendinee o muscoli può risultare di scarsa soddisfazione.

I Vascolari, gli Ortopedici ed i Fisiatri che si sono da sempre occupati della “sindrome dello stretto toracico” sanno perfettamente di cosa si tratta. Anche se questa condizione non è così frequente, si deve mettere in conto anche questa eventualità.

Quindi, e ancora di più, l’esame diagnostico assume un ruolo più significativo.

Persino un esame apparentemente “normale” può risultare totalmente diverso quando il paziente è esaminato nella sua posizione “abituale da seduto”, che probabilmente mantiene per diverse ore al giorno.

L’esame di diagnosi per CCSVI diventa quindi, in alcuni casi, ancora più complicato poiché si potrebbero aggiungere delle manovre ulteriori a quelle, prevalentemente respiratorie, previste dal Protocollo di Zamboni.

Per arrivare a queste osservazioni sono stati necessari molti esami ed interventi nonché le preziose informazioni degli interventisti ma anche le osservazioni e suggerimenti captati dall’ascolto dei malati.

In parte questa condizione di “intrappolamento” muscolo tendinea giustifica la buona riuscita delle procedure interventistiche su alcuni pazienti mentre comporta risultati contrastanti, per non dire deludenti, in altri. Chiaro che questo non è la sola condizione che determina un risultato ma indubbiamente è utile valutarla.

Ultima osservazione, ma di grande importanza, la CCSVI sta incontrando condizioni di positività in diverse altre patologie neurologiche progressive, e conseguenti risultati anche per alcuni di questi malati che sono stati trattati. Piccoli lavori stanno prendendo vita anche in queste realtà.

Infine, non si riesce a capire perché alcune Regioni consentono l’intervento ed Altre invece no.

Evito di entrare nello specifico ma appare assurdo, come è fatto osservare dai malati che per loro libera scelta decidono di farsi trattare, che sia necessario recarsi in Sicilia o Basilicata per una angioplastica che potrebbero benissimo fare in Lombardia o Piemonte. Peggio ancora, molte persone sostengono costi e sacrifici per recarsi all’estero, di fatto escludendosi dal Sistema Sanitario Italiano che ancora oggi è tra i migliori al mondo.

Allora, la CCSVI, ovvero questa anomalia vascolare, esiste davvero?

Personalmente sono convinto di si, anche se probabilmente è ancora più complessa e con maggiori varianti rispetto a quelle con le quali siamo partiti tre anni fa. Recenti studi e lavori dello stesso Paolo Zamboni confermano queste ulteriori ipotesi.

La strada è ancora lunga ma molte cose sono state fatte e la diagnostica avrà sempre un suo ruolo significativo, finché esisteranno le patologie vascolari dovranno esserci le condizioni ideali per curarle, eventualmente anche con terapie farmacologiche, non solo interventistiche più o meno invasive.

C’è ancora tanto da scoprire e fare, basta essere curiosi, criticare a priori è fin troppo semplice.



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