di Pierfranco Bruni
Accanto a un Franco Simone che appartiene ad anni vissuti e tempo presente, ai miei intoccabili Franco Califano e Fabrizio De André e poi Sergio Endrigo, Luigi Tenco, Franco Battiato, a un certo Roberto Vecchioni incide, oggi, con un testo che credo sia meraviglioso, Gigi D’Alessio.
La melodia mediterranea esplode soprattutto in due testi, in questo nuovo Cd, che hanno una forza linguistica e musicale potente: “Notti di lune storte” e “Il falco e la rondine”. Sono due canzoni che hanno un forte ascolto poetico. Ho ascoltato interamente il Cd e ho letto il reggere del testo senza la musica come spesso uso fare quando cerco di interessarmi ad un autore. Questi due testi sono linguaggio. Sono sempre più convinto che la letteratura debba interessarsi di queste innovazioni tra il linguaggio e la musicalità. Io non ho mai creduto alla cosiddetta canzone impegnata. Un insignificante vocabolario che si regge sulla corda dell’ideologia. Cosa significa una canzone impegnata. Perché cantare e recitare l’amore e la vita non è un impegno? Non mi piace usare il termine bello lasciando sospeso. Ma in questo nuovo Cd di Gigi c’è la bellezza della parola che si intreccia con l’eleganza. Smettiamola con l’impegno che è disimpegno poetico e ritroviamo l’eleganza dei sentimenti che vuol dire anche l’estetica di comunicare un sentimento. In Gigi ci sono sentieri di sentimenti che graffiano l’anima. Io, che da secoli mi occupo del rapporto o del legame tra linguaggi musicali e linguaggi della poesia giocata sulla parola, sostengo la necessità di approfondire questi legami perché dietro ogni testo c’è sempre una filosofia come nell’immaginario di Franco Califano sul quale ho pubblicato recentemente, dopo De André, un saggio. Ebbene, in Gigi D’Alessio c’è quella filosofia del quotidiano per la quale Califano ebbe una laurea honoris causa negli Stati Uniti d’America. Ascolto e leggo: “Le mie sofferenze ti assicuro sono tante Mi ha tradito sempre quello a cui ho dato il sangue Quante notti e quante lune storte Un funambolo su funi sciolte C’era solo una finestra aperta Ma non era quella mai la porta Quante notti e quante lune storte”. Versi da “Notti di lune storte”. Già il titolo è una profonda, drammatica e delicata metafora. Già in altri Cd Gigi aveva testimoniato una bravura tutta filtrata dai suoni di una melodia mediterranea, la napoletanità è mediterraneità del profondo, che ha toccato modelli marcatamente sentimentali. Così come, dallo stesso ultimo Cd, il testo dal titolo: “Il falco e la rondine”. Tasselli di un mosaico che parte da lontano e si incide in un vissuto robusto. Si legge ascoltando: “Cieli azzurri e voli liberi le tue ali non si fermeranno più torneranno a librare dentro a un arco a colori”. E nella chiusa: “ Tu dammi la mano io ti porto con me dove il cado d’aprile scioglie le neve la sposa col fiume tu dammi la mano io ti porto con me dove danza una foglia che cada sull’acqua ma non fa rumore Questa vita spesso lascia lividi ma il silenzio te ne fa di più ma se vuoi nel cielo delle rondini io come un aquila ti porto su”. Insomma la poesia la si vuole ascoltare anche nei linguaggi di un rapporto tra ritmo e parola? Non smetterò di ascoltare Gigi D’Alessio. E come ho fatto, con il mio recente lavoro su Califano, porrò sempre dei modelli alle regole di una poesia che non può perdere la sua tradizione, ma che non può neppure confrontarsi con le spinte innovative della canzone. Non ci sono più metodologie. Ci sono “eroici” sentimenti che resistono, e da questi eroici sentimenti la parola e musica intrecciano versi che recitano la vita e gli amore nel verseggiare. Come è stato sempre. Come fu nei tempi dei cantori. Come sarà se si vogliono salvare i linguaggi che comunicano trasmettendo sentieri d’amore. Gigi D’Alessio bisogna ascoltarlo ponendosi in ascolto. di Pierfranco Bruni