Ce ne fosse di gente così nel quartiere

Il bar è un ritrovo per i borghesi chic del quartiere. Ma chiamarlo bar è una grossolanità. Nel dehor la luce rosseggiante del tramonto sembra rendere a tutti una faccia estasiata, anche a quei vecchi incancreniti con la pelle cartamoneta che allungano le mani sui loro cocktail finto-analcolici lucenti come insegne al neon. Lui parcheggia la porsche nera, o più che parcheggiare tira il freno e scende, poi che succeda quel che deve succedere, non è affar suo. C’è nel suo aspetto un misto di eleganza e di trivialità. La camicia bianca, i pantaloni beige di lino, una collana di osso, capelli arruffati e barba incolta, occhiali da sole sul lobo frontale. Saluta con disinvoltura un tizio al tavolo. “Allora c’è ancora qualcuno nel deserto”, butta là quest’ultimo alludendo all’eclisse agostana di tutta la popolazione del quartiere. Lui si sbraccia: “Io non mi posso mica permettere di andare in ferie”, dice a voce alta. “Se non te lo puoi permettere tu…”, ribatte l’uomo al tavolo con un ghigno sfrontato. “Guarda che il mio è lo stipendio di un primario con la tassazione al 55%”, sottolinea primario e 55% in modo che tutti sotto il dehor, ma proprio tutti, lo ascoltino. Apre la porta del bar (ma chiamarlo bar è riduttivo) e si sgola per salutare i presenti con la convinzione che stiano lì da ore ad aspettarlo. Lui è un uomo corpulento, perfettamente capace di imporre la sua presenza, ha un tono di voce che prevale. La gente si volta a guardarlo. Le coppie da aperitivo si danno di gomito, lo additano. Tutti pensano che sia uno con i coglioni, uno tosto, che le canta senza peli sulla lingua. Ce ne fosse di gente così nel quartiere.

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