Un taxi mi passa davanti, mentre aspetto il verde ad un passaggio pedonale. C'è scritto sopra "Ceci n'est pas un taxi". E a me viene da sorridere ancora.
Parlo di Bruxelles, che mi spalanca addosso la maestositá dorata della sua piú grande piazza. Mi inonda di riflessi colorati dalle vetrate di una cattedrale. E poi mi scoccia nelle troppe scolaresche in visita al museo Magritte (ceci n'est pas une pipe). Malinconica di una malinconia bella, quasi post-natalizia, nel centro raccolto che si gira a piedi.
Incravattata tra gli edifici delle istituzioni europee, la maglietta con sú scritto "Je suis Charlie" a ricordare l'attualitá su di una statua e le bandiere con le stelle allineate davanti alle vetrate. Letteraria, ancora, col museo dei manoscritti e l'eco perenne di Hugo. Con la Taverne du Passage che un tempo frequentava Baudelaire. C'era una sua poesia scritta sulle pareti di quel locale - quello con il prosciutto. Me ne sono accorta sedendomi per caso di fronte ad un ragazzo spagnolo. A proposito, com'è che ci sono tutti 'sti spagnoli, a Bruxelles? Il pullman della distruzione che da Algeciras conduce ad Hannover (ma siete seri?!), le sale da tea che si chiamano "Málaga" o "Iberia", i turisti castigliani seduti sul metro. Ce n'era uno persino in aereo. Un ragazzo carino, padre di famiglia dolcissimo. Mi era sembrato opportuno esternare a Marta gli effetti seduttivi che quella lingua ha su di me; "ché se uno é anche appena decente ma parla spagnolo, oh, ai miei occhi diventa immediatamente stupendo". Ho anche specificato che "questo qui davanti, per esempio, se non fosse sposato con prole ci farei un pensierino". Il tutto prima di accorgermi che capiva perfettamente l'italiano. Grazie a Dio, il viaggio per Bruxelles é alquanto breve.
Ma dicevo del locale. Di Baudelaire. Del fatto che, prendendo un'altra tartina, ho capito di sentirmi a casa. Ed é cosí che dovrebbero essere tutti i concerti, ho pensato. Buffet gratuito con l'aperitivo, libri ovunque, drink. E la musica spogliata da ogni fronzolo, chitarra e voce, cosí com'é nata. Intervallata da letture di testi editi ed inediti, di parole inanellate a meraviglia, che mi fanno venir voglia - nonostante l'ansia da prestazione- di buttarne giú altre anch'io. Dopo, una dedica da decrittare. L'accenno ad un'altra canzone dei Negrita. Le conversazioni con un ragazzo di Napoli accanto agli scaffali coi volumi per bambini. I saluti riportati. I ringraziamenti. Le scuse per il sudore. E Marta, soprattutto Marta, che con tutto il trasporto del mondo dice al Cile che gli vuole bene. Perché ci ha fatte incontrare. Perché ci ha fatte arrivare fin qui. In fondo é proprio questo il punto, a farci caso: se non sono mai cambiata è perchè cose come queste mi rendono felice. E ceci n'est pas une emotion.