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Cecilia Calvi: in principio fu il Bagaglino e il Filmstudio

Creato il 26 agosto 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Cecilia Calvi: in principio fu il Bagaglino e il Filmstudio

Giovanni Berardi e Cecilia Calvi

Immaginiamo un po’ la situazione: una ragazza scende le scale del locale e chiede del gestore. Lei è una ragazza dal viso vispo, intelligente, gradevole, con i jeans sdruciti e con tanta passione. Insomma sembra proprio quella che è: una pasionaria dello spettacolo.  “Voglio fare spettacolo” -  domanda al gestore. E la risposta è umanamente un si; lì nel mitico Folkstudio di Cesaroni degli anni settanta-ottanta il palco, a chi fa spettacolo e musica, non si negava mai. E questo nonostante Cesaroni spesso rispondeva: “A me ‘stò spettacolo fa un po’ schifo, ma comunque, vabbè, fatelo”.  Prima, poco più che diciannovenne, la ragazza era passata dal  Bagaglino a fare l’attrice insieme a due ragazzi di allora, tali Pippo Franco ed  Enrico Montesano per recitare, tutti insieme, e proprio comeaddannati”,  Settanta mi dà tanta.

Sono questi, in definitiva, gli esordi nel mondo dello spettacolo della futura regista cinematografica Cecilia Calvi. È il teatro, un amore necessario, che, in definitiva, la forma e la porterà a frequentare talenti indiscussi del palcoscenico italiano: Nino Manfredi, Mario Carotenuto, Luigi Proietti, Ugo Pagliai, considerati a ragione da Cecilia come assoluti maestri, temuti ed indiscussi. Cecilia Calvi, dopo tre regie cinematografiche al suo attivo, insegna discipline dello spettacolo in una piccola scuola di cinema a Zagarolo, una scuola diretta da Sofia Scandurra, la brava regista di  Io sono mia (1977), un film che è diventato un sincero e partecipato manifesto cinematografico femminista. Cecilia Calvi oggi rimane, al contempo, una delle più prolifiche sceneggiatrici di importanti fiction televisive come Linda e il brigadiere, Don Matteo, Provaci ancora prof!, Il commissario Manara. L’esordio nel cinema avviene nel 1990, è un film ad episodi, realizzato da un gruppo di giovani; oltre a Cecilia i registi Ignazio Agosta, Luca D’Ascanio, Dido Castelli, Luca Manfredi, con un titolo che esplicitamente denunciava l’ambiente in cui la sceneggiatura si materializzava, 80 mq. Ricorda Cecilia Calvi che l’episodio di questo film, No mamma no, insieme al primo corto, Il vampiro difettoso, sono state le uniche cose che lei ha fatto veramente con il cuore, le cose che veramente continua a riconoscere. Eppure, tra i corti di Cecilia, una realizzazione importante è sicuramente quella dedicata al cinema Nuovo Sacher di Nanni Moretti, che insiste a Roma nel quartiere di Trastevere, dove la gestione come esercente del cinema da parte di Moretti resta geniale come tutti i suoi film. Cecilia ha potuto realizzare con tranquillità questo corto  (un privilegio sicuramente concesso a pochissimi),  per conto di una importante casa cinematografica francese,la Gaumont, perché molto amica di Moretti sin dai tempi della loro più ideologica giovinezza.

Quando nel 1997 Cecilia Calvi gira il suo primo vero film  La classe non è acqua, il quotidiano La Repubblica usciva con un titolo, a tutta pagina, che recitava  Cinema Italiano: chi l’ha visto?. Era purtroppo un riferimento ed una interrogazione sugli esiti del botteghino, decisamente negativi, per i film italiani usciti nell’arco di quelle ultime stagioni. Eppure in più di un caso si trattava di opere anche ambiziose, anche riuscite, spesso sovvenzionate dal denaro pubblico, ma spesso sempre più invisibili nelle sale. Oggi, almeno nelle ultime tre stagioni, il cinema italiano sembra un po’ risollevarsi , alcuni film hanno avuto incassi ragguardevoli e critiche decisamente positive.

Dice Cecilia Calvi, che ha capito perfettamente il senso della domanda: “se La classe non è acqua fosse stato un titolo di queste ultime stagioni sicuramente avrebbe avuto un percorso diverso. La distribuzione avrebbe investito risorse e disponibilità maggiori sul film”. La classe non è acqua pur vantando un cast decisamente stellare ed essere stato prodotto, anzi proprio voluto, da un produttore storico, importante e potente quale è Luciano Martino, ha peccato proprio nella direzione della distribuzione. Dice Cecilia Calvi: “La classe non è acqua è stato un po’ un film obbligato, nel senso che il produttore Martino, al quale io e Luca Manfredi avevamo proposto un’altra storia (quella che poi sarebbe diventata il film Grazie di tutto, grato poi da Luca Manfredi con un altro produttore) in quel momento aveva in mente un suo film sulla scuola. Nel periodo il cinema aveva registrato i successi di La scuola di Daniele Luchetti e di Auguri professore di Riccardo Milani. Martino per l’occasione ci propose un cast stellare: Valerio Mastandrea, Cecilia Dazzi, Alessandra Acciai, Antonio Catania, Roberto Citran, Barbara Livi, Paola Tiziana Cruciani, Giorgio Tirabassi, Franco Diogene, Edorado Leo, Luigi Petrucci, Elisabetta Rocchetti, Stefano Masciarelli”. Da qui la decisione concreta di Cecilia Calvi di fare il film deciso dal produttore. D’altra parte nel cinema italiano questa era una condizione abbastanza diffusa da tempo: un giovane regista per girare il suo film spesso doveva prima realizzare l’idea del produttore, a volte non sono state nemmeno idee cattive, pensiamo a L’audace colpo dei soliti ignoti realizzato da Nanni Loy per il produttore Franco Cristaldi, che aveva vincolato la realizzazione del primo film di Loy, Le quattro giornate di Napoli, al seguito di I soliti ignoti di Mario Monicelli; poi in un secondo tempo, dietro l’esito positivo del botteghino o, perlomeno, della critica, si dava corpo al film del regista.

Dice Cecilia Calvi: “La classe non è acqua non ha avuto dalla produzione quel sostegno che è indispensabile per un buon proseguimento in sala. Ripeto, il film è stato lasciato al suo destino anche dalla distribuzione, che era la Warner. Io penso che Martino doveva inserire, per una qualunque ragione, un titolo italiano nel listino della Warner ed ha pensato bene di colmarlo con il nostro”. Nel frattempo per Cecilia c’è stato il ritorno al teatro e l’esordio nelle fiction televisive come sceneggiatrice.  Dice Cecilia Calvi: “penso che non sarei capace di fare una regia per la televisione, ed infatti non ho mai pensato nemmeno di tentarla. I tempi sono troppo veloci, sofferti, e ti devi preoccupare di troppe cose, anche di quelle burocratiche che in televisione sono insormontabili e finiscono sempre nella grammatica delle mansioni del regista”. Il lavoro in teatro, peraltro, ha consentito a Cecilia di collaborare con Dacia Maraini, di conoscere Italo Calvino, addirittura di trascinare lo scrittore in platea durante una riduzione scenica che Cecilia ha tratto dal racconto Il Visconte dimezzato, lui che, in ogni caso, si concedeva così raramente alle masse. Sono state, questi, assoluti trionfi e soddisfazioni, che sicuramente hanno inciso un’esperienza, una carriera.

Il suo terzo lavoro nel cinema, Mi sei entrata nel cuore come un colpo di coltello (1998), era in realtà una sceneggiatura già scritta nel 1986, molto tempo prima quindi, e, come ci ha spiegato la stessa Cecilia, il momento della realizzazione, quasi dieci anni dopo, ha risentito proprio di questo distacco; il mordente che possedeva, in qualche maniera, si è come dissolto. Il cast di questa pellicola, come sempre di livello, vedeva Gaia De Laurentiis, Frederic Deban, Valentina Carnelutti, Stefano Abbiati, Claudio Pallottini, Luisa De Santis, Stefano Disegni, Luigi Petrucci, Gianni Ippoliti.  Anche il film diretto da Gianfrancesco Lazotti, Tutti gli anni, una volta l’anno (1993), e sceneggiato dal regista insieme a Cecilia vantava un cast di enorme rispetto: Giorgio Albertazzi, Paolo Bonacelli, Lando Buzzanca, Jean Rochefort, Paolo Ferrari,Vittorio Gassman, Paola Pitagora, Giovanna Ralli, Carla Cassola, così come  Grazie di tutto, (1998), di Luca Manfredi, altra sceneggiatura scritta in collaborazione con il regista, che vantava la partecipazione di Nino Manfredi, Giulia Lazzarini, Carlo Monni, Tosca D’Aquino, Dario Vergassola, Edoardo Leo e, tra i protagonisti, Massimo Ghini e Nancy Brilli.

Dice Cecilia Calvi: “non penso proprio di ritornare alla regia cinematografica. Continuo a credere di non sapere più lottare per imporre qualcosa di veramente mio. Quando fai la regia devi comunque gestire una troupe, che è una vasta gamma di umanità, quella che va dagli attori ai macchinisti, agli elettricisti, agli attrezzisti, ai burocrati della produzione, sei proprio messo in mezzo e bombardato. Ormai sono consapevole di questa enorme difficoltà e volentieri declino”. Cecilia Calvi ha, in fondo, attraversato proprio completamente l’arco costituzionale dello spettacolo: ha fatto radio, teatro, cinema, televisione  (oltre alle fiction è stata autrice, tra l’altro, con Castellacci senior e junior dello spettacolo di Proietti Club 92), ed oggi fa il suo debutto in libreria come scrittrice. Urlate in silenzio è il titolo del suo primo testo narrativo, scritto insieme a due giovani allievi della scuola di Zagarolo: Tiziano Bomprezzi e Giustino Pennino.

I grandi capolavori della commedia all’italiana: che idea se ne è fatta Cecilia Calvi? “Ti dirò: io continuo a pensare che molti di quei film eccezionali, penso, in questo momento, a Il sorpasso, I soliti ignoti, Una vita difficile, La grande guerra, Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?, Per grazia ricevuta, C’eravamo tanto amati, In nome del Papa Re, sono dei capolavori realizzati, venuti fuori, quasi alla stessa insaputa dei loro autori. Quei film della commedia all’italiana sono, in qualche modo, grandi capolavori casuali, non proprio così progettati”. Siamo d’accordo con questo concetto della Calvi, ad esempio Mario Monicelli in particolare (ma anche Risi e  Scola erano d’accordo), amava dire che il suo cinema lo muoveva solo l’idea della farsa, un genere che il regista definiva assolutamente nobile. Dice Cecilia Calvi, questo un po’ a sostegno del concetto di Monicelli: “ricordo un aneddoto di Manfredi e Magni alla proiezione del film Morte a Venezia di Luchino Visconti quando, ad una insistita sequenza in primo piano del giovanissimo efebo Tadzio,  Magni rivolto a Manfredi sottolineava la bellezza del ragazzo, con Manfredi tutto preso ad acconsentire e a confermare, tanto che, ad un certo punto, Magni rivolto ancora a Manfredi esclamava: “ah Nì, non è che niente niente stiamo a diventà un po’ froci?” Nino e Gigi,  legati nella vita e nell’arte, degni proprio della migliore tradizione plautina.

Giovanni Berardi

Cecilia Calvi: in principio fu il Bagaglino e il Filmstudio
Scritto da il ago 26 2011. Registrato sotto DA UOMO A UOMO, RUBRICHE, TAXI DRIVERS CONSIGLIA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione

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