Cecità è ambientato ovunque, in un tempo indefinito ma sicuramente moderno, dato che ci sono macchine e semafori. Senza sintomi pregressi, avvisaglie o altre spiegazioni, uomini e donne di colpo diventano ciechi, tutto viene ricoperto da un panno bianco, come se ci si muovesse in un mare di latte. Davanti alla malattia inspiegabile, il governo si assume la responsabilità di salvaguardare il resto della popolazione, confinando gli infetti in luoghi “sicuri”, “protetti” dall’esercito. Praticamente prigionieri, terrorizzati, abbandonati a loro stessi, con l’onere di curarsi da soli e di provvedere autonomamente alla pulizia del luogo e di sé stessi, (il che implica anche sotterrare i defunti e bruciare tutti gli avanzi), in pochissimo tempo i nuovi ciechi regrediscono allo stato brado e anarchico. Parallelamente con la perdita della vista procede la perdita della loro umanità, la cecità degli occhi affianca quella dell’anima.
Regredire, regredire sempre di più, fino a diventare, come si dice, degli animali (e forse proprio per questa somiglianza ad essi dovremmo essere meno ciechi nel trattarli). Ridicoli nei movimenti, spietati e infidi come dei bambini cattivi, così sono i ciechi del mal bianco.
Regredire, regredire fino a non vedere più niente, bang, kaputt, tutto diventa bianco e addio, addio tutto. Come una bomba, come una morte insensata, come un agguato, come un infarto improvviso. La cecità colpisce donne e uomini, bambini e anziani, ladri e perbenisti.
Regredire, regredire ancora fino a non essere più nient’altro che dei zombie che girano spinti dall’istinto di sopravvivenza, sporchi, malconci, infermi sui piedi e nei pensieri, eppure pronti a scannarsi per un tozzo di pane rancido.
Unico testimone allo scempio dilagante è la moglie del medico, che manterrà intatta la vista dall’inizio alla fine. Alcuni ciechi, la seguiranno, formando un piccolo gruppo di persone in cui impotenza e disperazione lotta con brandelli di speranza e di reminescenze di dignità. Non sapremo mai quali sono i loro veri nomi poiché tutti si identificano con mere caratteristiche esteriori, forse perché nessuno sembra più interessato a presentarsi e a conoscersi.
“Un saggio sulla cecità” sarebbe stata la traduzione letterale del titolo. Leggendolo, ci si rende conto di quanto fragile sia il nostro sistema di credenze e sicurezze, di quanto poco basti per gettare tutto nel caos. L’angoscia è probabilmente il sentimento che più si associa al libro. Un’angoscia che muta durante la lettura: inizialmente, essa è la paura che scaturisce dall’identificazione con le vicende, che porta anche il lettore a essere colto dal timore di guardare altrove, non si sa mai che una subitanea cecità colpisca fulminea anche lui. Poi l’angoscia si rivolge all’umanità, che va allo sbaraglio nel mondo, un’umanità cieca e confusionaria, che depreda e uccide, senza un perché, senza una direzione, senza neanche un dio da invocare o una certezza logico-scientifica a guidarla. C’è solo questa cecità che avanza, si espande, permane. Aprire gli occhi e dire, insieme al dottore: “Non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo… ciechi che, pur vedendo, non vedono… il mondo è pieno di ciechi vivi”.
Azzurra Scattarella
José Saramago, Cecità, Feltrinelli, € 9,50