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Cecrope il modernizzatore

Creato il 25 settembre 2011 da Catone
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Parlando dell'arte parmigiana tra la fine dell'Ottocentio e il Novecento, è impossibile non soffermarsi sulla famiglia Barilli; e parlando dei Barilli, è ovvio prendere in considerazione il capostipite, quel grande Cecrope che è stato ottimo pittore e altrettanto importante insegnante d'Accademia. Cecrope nasce a Parma nel 1839 e muore il 24 giugno 1911 (per cui ne celebriamo oggi il centenario della scomparsa). Costituisce, con Salvatore Marchesi e Alberto Pasini, la triade parmense dell’ultimo Ottocento che oltrepassa i confini locali per inserirsi nel contesto dei migliori artisti italiani del tempo. Allievo di Francesco Scaramuzza, nel 1859 si arruola volontario, partecipando alla battaglia di Palestro. Nel 1863 vince il Pensionato artistico e si stabilisce a Firenze, dove viene premiato all’Esposizione del 1865. Spirito irrequieto e indipendente, capisce che solo la conoscenza dei più moderni movimenti artistici, accentrati in Francia, gli può aprire un via nuova e luminosa. Dimora a Parigi dal 1867 al 1870 e i lavori da lui eseguiti in Francia in pochi anni gli permettono di aprire un ricco atelier e di essere accolto nell’alta società intellettuale.
clip_image003Affresco in Palazzo de Larderel, a Livorno
Partito da Parigi, si reca a Roma, dove rimane dal 1870 al 1876. Decora con grandi composizioni allegoriche alcune sale del Quirinale, l’Aula magna del Senato, il Palazzo della Consulta, il Ministero delle Finanze e numerosi altri edifici pubblici e ville principesche della capitale e dei dintorni. Colpito spiritualmente dall’inondazione parmigiana del 1870, ne serba memoria in una tela che dona nel 1872 all’Accademia parmense, in segno di gratitudine per la nomina ad accademico d’onore. Lavora anche a Siena, Torino (Palazzo Reale), Livorno, Alessandria, quindi a Parma e provincia. Molto esigente con la propria pittura da cavalletto, distrugge i quadri se non ne è completamente soddisfatto. Arguto e abile ritrattista: da ricordare il Ritratto di Francesco Scaramuzza e l’Autoritratto nella Galleria Nazionale di Parma, Attanasio Basetti, Emilia Barilli Rossi (la nuora), Maria Bozzani Casoli, Il malatino (1882), un ritratto del figlio Arnaldo. L’Istituto d’arte di Parma conserva il Ritratto del pittore Edoardo Raimondi. Si diletta anche nel dipingere fiori, in particolare rose. La Galleria Nazionale possiede altri due dipinti che danno l’idea del miglior Barilli,
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la Contadinella, dalla pennellata fresca e briosa, e Vendemmia, dove il macchiaiolismo fiorentino si sposa con l’impressionismo francese. Il Comune di Parma dedica alla famiglia Barilli una vasta mostra nel 1997 nella sede di Palazzo Pigorini in strada della Repubblica e presso la Consigli Arte di borgo Bruno Longhi.
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Autoritratto
Armando Ottaviano Quintavalle ha scritto di Cecrope nel 1942: «E' già molto se nel vasto naufragio del nostro ultimo Ottocento, minato di realismo e di astrazioni letterarie, si possa trovare ancora e, per giunta, allievo dello Scaramuzza, uno scampato per istinto pittorico: Cecrope Barilli, eclettico di ogni tendenza, che studiò nella sua città natale, a Firenze, a Parigi, per accedere, vittima come altri del suo tempo, alla allegoria politica, sperdendo nelle figurazioni dell’Italia democratica con l’egida di Pallade e l’elmo quirite la dovizia delle sue possibilità compositive e la grande e dosata esperienza pittorica.
clip_image006 Cecrope Barilli (1839-1911) «A Young Roman flower seller»
Lasciamo ai critici di allora il poco ambito compito di tradurre in parole scene e personaggi che nel primo e non per questo verboso parlamentarismo dell’Italia dal '73 all’85 potettero essere suggerite o pensate dal pittore, e guardiamo ai soli valori figurativi, non essendo possibile, visto che ce n'è voluto di tempo, pretendere dell’indipendenza in una pittura asservita per incomprensione, e non soltanto dei committenti, a finalità del tutto estranee. Vi noteremo masse larghe, schemi compositivi complessi dallo sguardo immenso del Ricci e del Tiepolo, con parallelogrammi di amorini e panneggi bilanciati su gruppi centrali di più sostenuto colore; corimbi di putti correggeschi coreografati alla De La Fosse e del pari alleggeriti di tinta, con qualche più arduo scorcio alla Pellegrino Tibaldi dell’Escuriale che caprioleggia in cielo evanescenti o s'immerge nel latteo biancicare di nubi bambagiose salde figure di veggenti o di geni concluse con sapiente equilibrio entro lunette e formelle che ricordano Parma del fregio di S. Giovanni Evangelista, come i riccioli piumosi dei putti in mezzo a togate figure; nudi dei Lavoratori dei campi e delle officine, del Parlamento con accanto il vaso dei suffragi, del Diritto giovanetto che va sicuro per la sua strada... costruiti con salda anatomia e intensità chiaroscurale». E questo il giudizio di Giovanni Copertini: «Egli ha dato il bando a tutto quello che di accademico e di stantìo si era annidato tra le aule dell'Istituto di belle arti e vi ha introdotto, prima come titolare di figura e poi come direttore, un soffio nuovo e libero. Novità e indipendenza per sé e per i suoi allievi quali Paolo Baratta, Daniele Strobel, Amedeo Bocchi, Renato Brozzi, Latino Barilli che, pur avendo incominciato a operare alla fine dell'Ottocento, diedero però  i loro frutti più maturi nel secolo successivo».
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Tiziano Marcheselli

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