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celebrazione - conversazione notturna

Da Foscasensi @foscasensi

Quella stessa sera, Fosca e Florestano si incontrano in chat. Ecco cosa si dicono.


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UmbraLia scrive: Buonasera Florestàn!
Eusebio scrive: Fosca! Sapevo che ti avrei trovata. Ti ho mandato una mail. Saranno le 4
UmbraLia scrive: ho letto. Sono le 4 e 12
Eusebio scrive: e tu non dormi
UmbraLia scrive: non posso, ancora brutti sogni.
Eusebio scrive: Fosca... sono settimane che non chiudi occhio.
UmbraLia scrive: il sogno è questo. Sono adolescente e sono a scuola, una persona si affaccia, il professore smette di spiegare ed esce dalla classe. Non so come, sento l'unica frase che l'uomo dice all'insegnante: i pozzi e le condotte sono pronti. Dopo quello scambio la persona si dilegua, l'insegnante rientra e annuncia che a mensa festeggeremo tutti con acqua fresca e spremute di fontana. A quelle parole si scatena una festa: i miei compagni ballano, cantano e si baciano sulla bocca. Io invece non mi sento affatto bene... perché Florestàn un insegnante di italiano deve usare un'espressione ridicola come spremute di fontana? E quella frase sui i pozzi e le condotte cosa vuol dire? Ma la gioia dei compagni è sfrenata, un ragazzo propone un hip-hip-urrà e tutti urlano con lui. L'insegnante è completamente felice, spezza un lapis e ci conduce a mangiare. Il lapis spezzato ha fatto un rumore d'osso. Un rumore d'osso, capisci?
Eusebio scrive: amica mia, a volte accade che non sia semplice seguirti. È così tardi...
UmbraLia scrive: Florestàn, i sogni lasciano impressioni forti e, fuori di noi, immotivate. Una volta mi addormentai di un sonno quasi disperato. Mi sentivo così indifferente a tutto che ne fui annientata. La mente si disperse in un punto piccolissimo fuori di me e mi fu chiaro che avrei dovuto ammazzarmi, solo non sapevo quando e in quanto tempo. Mi addormentai sul pavimento, perché nel frattempo senza che mi rendessi conto gli occhi avevano cercato la cassetta delle tempere, le mani le avevano distribuite sul corpo, le dita e il corpo si erano mossi sulle pareti, avevano rifiutato i vestiti e sbucciato la pelle, il corpo recalcitrava aveva pitturato le pareti della stanza di lingue primordiali e altro che non so. E così mi trovavo in una stanza nuova, piena di tempera e urla, vomitosa d'anima, tremendamente buia, e tutte le membra erano raccolte intorno a quel che restava, al loro freddo e la loro stanchezza, i piedi e le cosce sul pavimento, il seno sui pochi vestiti, le mani sui colori, gli occhi sull'immagine della mia finestra aperta.
La finestra mi teneva vigile, era la cosa che aveva senso fuori di me. Con la bocca e un velo bruciato sugli occhi non desideravo nulla, non sentivo rumori o confini, lasciavo che perdessi conoscenza ma nella stessa posa in cui si è vivi e svegli, e cioè con la bocca schiusa e gli occhi aperti. E mentre non mi davo pena, o forse me ne ero già data troppa, la capacità di formulare pensieri o ricordi sul mondo vacillava come succede quando è vicino il momento di dormire. Solo che io mi smarrivo come una larva, senza incoscienza. Dall'orbita della stanza si addensava un fronte di spavento, la finestra man mano si seccava e retrocedeva, lo spazio umido ch'essa celava si faceva denso. E quando ebbe assunto le giuste qualità assassine mi si scagliò incontro, senza per nulla mutare la sua forma, terrorizzandomi. Mi trovai avvinghiata ai vestiti, il colore sulla pelle era secco, l'aria accesa come di un urlo appena esploso e lungo le cosce un filo d'orina mi ricordava quanto profondamente fossi al mondo. Quella notte smisi di pensare alla mia morte ma non ho mai dimenticato la sua traccia. La matita rotta conservava la stessa onda cosmica di spavento e d'incoscienza, solo che quando il professore l'ebbe spezzata io non mi svegliai come invece avrei desiderato.
La stanza della mensa aveva al centro un'unica tavolata e su di essa la luce dei neon come una striscia bianco metallica. Gli inservienti avevano preparato caraffe e bottiglie di spremuta, nelle ceste grosse fette di pane di sesamo. I ragazzi esultavano, il professore piangeva di felicità. Ai finestroni dello stabile sorridevano affacciati gli occhi della spia di poco prima. I pozzi e le condotte sono pronti. Era chiaro che volessero abbeverarci con acqua avvelenata, e io non potevo farci nulla. Avrei potuto mettere in guardia i miei compagni, ma non erano intenzionati ad ascoltarmi. E nemmeno fermarli con la forza: erano troppi, troppi. Dio, Florestàn, quanto si era fatta lunga la tavola di quelli che avevano sete e fame!
Eusebio scrive: dunque cosa hai fatto?
UmbraLia scrive: l'unica cosa possibile. Mi sono svegliata.
Eusebio scrive: sei stata codarda.
UmbraLia scrive: sì. E ora vorrei tanto fare l'amore con te.
Eusebio scrive: anch'io.



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