celebrazione - la fratellanza

Da Foscasensi @foscasensi
Mail di lunedì 8 giugno 2011; ore: 23.03
da: florestano@gmail.com
a:  foscasensi@yahoo.it
R:Re:LA FRATELLANZA
IMMAGINA
un uomo e rimpiccioliscilo. Ungi i capelli, vestilo con una camicia a mezza manica e dei perenni calzoni marrone bruciato. Mettigli un paio di occhiali e un velo di sudore su tutta la persona. Immagina ora che una mattina tu ti sia fatto la barba, tu abbia preso un caffè nero e abbia il giornale ancora sotto braccio. Immagina, Fosca, di aver appena varcato la soglia del tuo ufficio e che un piccolo uomo unto di sudore entri nella tua piccola stanza di cartongesso – senza pareti, con l'aria pompata da un condizionatore e un telefono che squilla di continuo – che entri e chieda qualcosa. All'inizio non capisci, è il tuo primo giorno di lavoro e quest'uomo parla piccolo e fitto. Così rispondi, “come, prego?”, e lo fai con una certa gentilezza, perché sei nuovo e in fondo non conosci ancora cosa ti abbia chiesto e come. L'uomo ha un tremito ma i suoi occhi si conservano porcini sotto lo spessore degli occhiali, e risponde “se non l'ha capito esigo immediatamente la tale pratica, signor Samsa”, e poi stridulo “oppure ha ancora bisogno di svegliarsi?”. Al che io mi piazzo fra l'uomo e la porta e rispondo. “Mi chiamo Florestano Salza. E lei farà bene a bussare la prossima volta se non vuole che le spacchi la faccia”. “Sì, certo” dice l'uomo contorcendosi “ma io ho bisogno di quella pratica, sia gentile. La trovi e me la porti”.
Così Giorgio Merumeci è stato il primo che abbia conosciuto alla Texar. La sera siamo andati a bere sui Navigli. Oh, non pensare che siano belli come si sente dire; è una spianata di pietre che ha qualcosa della strada romana su un canale disseccato ma lucida per il passaggio di gente e le vetrine e i ristoranti. Quella sera non c'era vento, Giorgio Merumeci aveva due chiazze bagnate alle ascelle e la barba lo segnava come fosse sporcizia. Di stelle, non se ne vedeva neanche una.
Merumeci. Se tu lo pensassi come creatura umana perderebbe di forza tutta l'immaginazione che puoi mettere nel rappresentare e te stessa un raccoglitore di patate, un tasso, una vecchia signora, un fungo porcino, un ragazzo invecchiato, un budino e un cetriolo messi insieme in un unico, timoroso corpo sudato. “Così – dice – lei è nuovo e non ha ancora imparato l'educazione” mentre lo dice solleva e rituffa nella birra una creatura lustra, un naso che guarda come chi non sa se è andato troppo oltre. “Io lavoro qui da dieci anni e, pensi, all'inizio speravo che la cosa sarebbe finita il prima possibile”. Lo ascolto tracannando birre, la schiuma è aspra e alla fine di ogni bottiglia – sono alla terza – mi resta in bocca una fetta di limone. Merumeci accarezza la sua Acqua tonica e dove mette il dito il vetro si riempie di chiazze bagnate.
“Immagino signor Salza che sia stato difficile per lei rendersi conto all'inizio con chi avesse a che fare – continua – ma del resto praticamente nessuno capisce quale sia la mia anzianità di servizio alla Texar al primo incontro”. Probabilmente, dico, dev'essere per l'aspetto giovanile. “Certo – risponde tutto contento – è proprio così”, e bevendo butta all'indietro la testa quasi calva. A ogni sorso le bollicine friniscono nella strozza e sicuramente si appiattiscono lungo le pareti – quali che siano saranno sempre le sue pareti interne – untuose, deliziosamente miniate, pronte a concepire rutti e soddisfazione. “Sì, mio delizioso Salza, in questi anni mi sono conservato proprio bene nonostante quello che mi è capitato. Voglio dire, potrei essere molto più grasso, potrei non avere più denti. Potrei perfino, a quest'ora, aver perso la mia integrità. Non so se mi capisce. Ma come può capire, mio caro? Se lei sapesse! Ma siamo colleghi, perché non confidarsi, perché non parlare; perché sempre questo silenzio, questa falsa indipendenza fra noi uomini, quando invece potremmo essere tutti fratelli? Permetta che le mostri una cosa, vuole?” “Ma certo”, rispondo. E Merumeci sbatte sul tavolo un portafogli di serpente. “Lo apra!”, mi dice.
Dio, Fosca. Era la cosa più ripugnante che avessi mai visto eppure, nonostante tutto, ci misi le dita dentro e aprii quella lurida vescica di pelle. Dentro c'erano un ritaglio di giornale del 1999 e la foto di una giovane. Merumeci mi spiava dal fondo del bicchiere e io capii che quella a cui aveva accennato prima non era una fratellanza universale, ma piuttosto quel genere di erotismo asciutto che lega gli uomini a difesa dalle trappole preparate dall'erotismo ben più tempestoso e stringente che affligge la razza umana, quello della propagazione e, in senso più ancestrale, della violenza e del dissolvimento.
Così ordinai un'altra birra e mi disposi ad ascoltare.

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