Della prima questione, sollevata da Celentano chiedendo addirittura la chiusura di due storiche testate cattoliche italiane, Avvenire e Famiglia Cristiana, molto si è scritto e detto, probabilmente perché dietro ai due giornali c’è un potere reale capace di mobilitare opinione pubblica e opinion leader di giornali e tv.
La Corte costituzionale, al contrario del Vaticano, non dispone di una tale potenza di fuoco e, quando viene così rudemente attaccata, rimanendo correttamente nell’ambito delle proprie funzioni costituzionali, non ha armi per difendersi. A farlo però dovrebbero essere tutti i cittadini che hanno davvero a cuore i princìpi della nostra Costituzione e dello Stato di diritto. Affermare di fronte a 14 milioni di cittadini-telespettatori che la Corte ha «buttato nel cestino» un milione e 200 mila firme significa prima di tutto non conoscere come funziona l’istituto del referendum e, cosa ben più grave, non rendersi conto del gravissimo danno che si crea nell’opinione pubblica, inducendola a pensare che la Corte abbia violato la sovranità del popolo.
La Costituzione stabilisce che a chiedere un referendum abrogativo debbano essere minimo 500 mila elettori: questa è una condizione necessaria, ma non sufficiente a indire il referendum, che deve passare prima il vaglio della Cassazione e poi quello della Corte costituzionale che – garante della Carta fondamentale della nostra democrazia – deve assicurare che il referendum sia ammissibile sotto il profilo costituzionale. Che i promotori del referendum abbiano raccolto più del doppio delle firme necessarie è (per fortuna) del tutto irrilevante ai fini della valutazione della Corte: non si può pensare di cancellare le garanzie costituzionali con la forza dei numeri.
Abbiamo già rilevato come l’ammissibilità del referendum elettorale fosse molto incerta, cosa di cui gli stessi promotori erano pienamente consapevoli. Anzi: proprio perché i promotori sapevano che era molto improbabile che la Corte ammettesse il referendum, hanno raccolto molte più firme del necessario in modo da avere una forza «politica» in grado di convincere i partiti della necessità della riforma.
L’ignoranza in sé non è una colpa, quando però la si brandisce come un’arma da uno schermo di fronte a milioni di telespettatori bisogna avere l’umiltà di riconoscerla, e l’onestà di tacere.
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