Celentano e il Festival. Tutti ne parlano male, ma alla fine l’importante è che se ne parli

Creato il 15 febbraio 2012 da Iljester

Credo che gli organizzatori del Festival, al di là delle dichiarazioni formali, si stiano facendo quattro risate alle nostre spalle e si stringano la mano con gli sponsor, per l’operazione ‘Celentano’ perfettamente riuscita. Nonostante l’esecrabile e patetico monologo del molleggiato (ma non ci si poteva aspettare né di meno né di più dall’uomo delle foche), è chiaro che il Festival di Sanremo ieri ha avuto uno share davvero importante (48,51%), con grande giubilio di pubblicitari e showman che hanno centrato l’obiettivo della popolarità.

È chiaro comunque che il tutto appare assolutamente triste. Triste per un Festival che ormai è in piena decadenza e che si trascina da anni non già sulla musica di qualità (ammesso ne abbia mai prodotta), ma sulle ospitate di personaggi controversi come Roberto Benigni e Adriano Celentano, sulle opinioni politiche di questi ultimi, sulle loro paternali su come gli italiani che fanno fatica a tirare a fine mese dovrebbero vivere. E il tutto lautamente pagato a suon di centinaia di migliaia di euro.

Certo, Celentano ha dichiarato di voler devolvere il suo lautissimo compenso a favore delle famiglie povere e disagiate. Però domandiamoci in che modo è scaturita questa decisione. Mi pare dalla polemica sul suo cachet. Ora io non so se il cantante avesse avuto intenzione già da prima di fare opera di beneficenza, ma è chiaro che non è certamente simpatico fare beneficenza coi soldi degli altri, e solo di seguito a delle polemiche.

Intanto per la musica italiana, bisogna andare a ‘Chi l’ha visto?’. Perché di musica non si è parlato né ieri né oggi. Ma solo di Celentano, che di musica ne ha fatta parecchia, ma che nella nostra memoria di appassionati è ferma a quella degli anni ‘70. Del resto, il molleggiato non ha più prodotto un disco decente da due o tre decenni. Vive soprattutto di rendita e persino la sua innata dote di attore da commedia è finita nella soffitta per lasciare il posto a un ruolo di telepredicatore che — davvero — lascia basiti per la  inconsistenza e incongruenza dei temi affrontati.

Ma negli anni della superficialità e della faziosità comunicativa, le uscite di Celentano sono quasi la normalità in un panorama televisivo povero e politicamente viziato. Il bello è che poi la sinistra accusa la destra di fomentare una cultura televisiva trash, tra Grandi Fratelli e Grandi Sorelle, quando è proprio dalla sua parte politica che arriva il peggio del peggio della televisione (Benigni,  Celentano, Santoro ecc.). E del resto, poi, un Grande Fratello lo si può scegliere di guardare o non guardare, perché magari l’oggetto del programma è a noi (s)gradito. Ma se io volessi godermi (sic!) la più famosa gara canora della Tv italiana, sono necessariamente costretto a sorbirmi anche le teleprediche nosense di Celentano, chiaramente ed evidentemente con un indirizzo politico a senso unico. Un po’ come avveniva ai tempi di Beppe Grillo. Ma almeno il Grillo – bisogna ammetterlo – faceva morire dal ridere e le sue battute erano sul serio intelligenti.

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Ci sarebbe da arrabbiarsi, e io non lo sono. Detto sinceramente: non me ne frega un cazzo. Ma è certo che l’obiettivo — come dicevo più su — proprio perché c’è chi lo ha visto per rodersi il fegato o per semplice curiosità o perché adora le bordate celentanesche, è stato centrato. Forse gli autori del programma volevano il polverone, la polemica, i titoli indignati sui giornali cartacei e online, quintalate di commenti di fuoco sui social network. Del resto, esiste una regola non scritta nel mondo del business dell’intrattenimento e dello spettacolo: parlarne bene o parlarne male non è rilevante, l’importante è che se ne parli. Diverso sarebbe stato il discorso se ieri gli italiani avessero cambiato canale. In tal caso, l’effetto ‘fallimento’ sarebbe stato straordinariamente sismico.

di Martino © 2012 Il Jester 


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