In pratica l’ex rocker, chiaramente cresciuto in qualche oratorio di periferia, vorrebbe separare il prodotto dal suo fabbricante. Come dire: la Coca Cola Company è cattiva, la brodaglia marrone è buona. Oppure: OMO è buono, Univer è cattivo. In poche parole, Gesù è semplicemente il prodotto che i preti vendono sul mercato della credulità. Lo hanno confezionato su misura per sedurre i consumatori. Il Gesù che comprate sul mercato è un prodotto commerciale come la Coca Cola. O se preferite, come il mio cognato canadese che non a caso si definisce il nuovo messia e si riempie le tasche di dollari blaterando alla TV scemenze che l’aspirante messia di Sanremo non si sogna neppure.
Il peccato originale (visto l’argomento, lasciatemi usare questa espressione) sta proprio nella religione. Se mi fate piovere una verità dal cielo, attorno a questa “verità” si aggregheranno: 1) la cricca che se l’è inventata e che ovviamente la sfrutta a scopo commerciale, virtualmente con la licenza di uccidere visto che si è investita di una missione divina e che questo le dà il diritto di passare come un rullo compressore sopra ogni regola morale 2) i consumatori del prodotto, utilizzati come limoni da spremere in tempo di pace e come force de frappe in tempo di guerra. Come se il prodotto potesse avere una vita indipendente da chi lo ha fabbricato, ogni tanto qualcuno rivendica la sua proprietà, un po’ come i lettori quando Conan Doyle voleva far fuori Sherlock Holmes. Se leggete in questa chiave la storia e l’attualità, vedrete che ho ragione.
Così l’ex rocker dovrebbe continuare la sua carriera di pessimo imitatore di Elvis Presley (è in buona compagnia, ce ne sono decine in ogni paese) e lasciar perdere la morale. Meglio il rock strimpellato da un novantenne rimbambito che strafalcioni tipo: Gesù e i preti sono due cose diverse.
Dragor