Per le date italiane che hanno inaugurato il tour estivo dei Celeste, abbiamo pensato in grande. Eccovi un resoconto sulla tre giorni delirante. Torino, Milano e Bologna le città scelte per esibizioni in contesti del tutto diversi tra loro. Le foto a corredo dell’articolo, scattate a Milano, sono di Stefano Marotta, che ringraziamo moltissimo per averci dato il permesso di pubblicarle. Date un occhio al suo Flickr, ne vale la pena.
Alliance Fest, 11/7/2014
Collegno (TO), Padiglione 14.
Ad un mese dall’Acufene, mi dirigo alla volta di questa rassegna che nel mese di luglio (precisamente fino al 20) continuerà a proporre feste, cene e concerti di ogni genere. Allo staff del Padiglione 14 e del pub Klec Blázna di Torino va quindi tutto il nostro supporto, visto che la serata alla fine sarà riuscita alla grande, al netto di alcuni trascurabili imprevisti. Partecipazione più che buona, band in forma e un’atmosfera piacevole e confortante.
I primi a salire sul palco sono i Loimann, autori di uno stoner /postcore buono, con un ep all’attivo e un full-length quasi pronto. La loro musica convince, ma ha bisogno di maturare ancora: confrontando la loro esibizione di oggi con quella del giorno successivo al Macigni Fest a Milano, non ho dubbi sul definire più efficace quest’ultima, grazie anche a una resa acustica migliore e una location maggiormente adatta a certe sonorità. L’impressione rimane positiva: teneteli d’occhio, perché i brani nuovi contengono delle ottime idee. Fuori luogo, ma non per questo poco convincenti, i Never Ending Apnea: la loro musica è ben fatta, le melodie e i passaggi sono catchy quanto basta, ma è un alternative metal maturo che con la serata non ha nulla a che vedere. Un vero peccato, considerate le loro potenzialità.
Breve cambio palco e finalmente si comincia a ragionare: Last Minute To Jaffna, costretti alla fine a tagliare la scaletta di un brano, causa problemi tecnici esterni. Il loro è un set di inediti che andranno a costituire il nuovo album, ma il fattore “resa sonora” gioca tantissimo e sarà nuovamente il giorno dopo, a Milano, che il contesto permetterà il pieno godimento del tutto. Si capisce sin da subito che hanno molta confidenza con i live, merito anche dell’esperienza accumulata coi loro ultimi concerti acustici di supporto a Volume III.
Ci si ritrova un po’ fuori tempo limite, ma non è un problema, perché i Celeste sono sempre concisi dal vivo. Circa trentacinque minuti, ma di un’intensità rara, con brani tratti da quasi tutti i dischi della band, fatta salva la maggior attenzione per Animale(s), la cui monolitica “D’errances En Inimitiés” sarà l’apertura di ogni serata. Scenografia ridotta al minimo, ma per contro un muro di suono devastante. Breve ma intenso, violento e scorretto. Forse un set che, come dicono molti, oltre i quaranta minuti può anche stancare, ma al giorno d’oggi è raro vedere gruppi sfoderare prestazioni così. (Davide Montoro)
Macigni, 12/7/2014
Milano, Lo-Fi.
Siamo a Milano, adesso: quartiere Rogoredo, precisamente. Il Lo-Fi è la sede dove cadrà l’ultimo macigno. La collaborazione tra lo staff del locale e Alessandro Galli (noto ai più per il progetto arottenbit) ha permesso di portare in Italia le migliori realtà del panorama postcore, sludge, doom e stoner. Un appuntamento al mese, a partire da settembre dello scorso anno, che ha visto alternarsi nomi quali Lento, Doomraiser, Isaak, Hungry Like Rakovitz, Ornaments, Monarch e tanti altri. L’ultimo Macigni è speciale per tanti motivi: in molti chiedevano a gran voce delle date in Italia dei Celeste e la loro presenza è il non plus ultra in una serata già di per sé unica. Arrivo al locale che gli Aperture hanno iniziato da poco: sono in cinque e sono giovanissimi. A loro il compito di riscaldare i presenti con un hardcore a tinte melodiche, che a quanto pare viene apprezzato. Il loro set si concentra su alcuni brani inediti, altri tratti dall’ep e dallo split di fresca stampa con Il Mare Di Ross e Hydra.
Dopo gli Aperture, gli Abaton e il loro sludge/hardcore oscuro. La band presenta quattro brani dal debutto Hecate, accompagnati da altri due che faranno parte del nuovo album We Are Certainly Not Made Of Flesh. Dopo l’esecuzione di “Few Years To Live” e “They Feel Like CO2”, ecco l’anteprima: s’intitola “Pandemic” ed è un pezzo che farà parte di uno split collaborativo, registrato assieme ai Viscera///, anche loro qui stasera. Dunque sono in cinque adesso a stare sul palco, con due chitarre, due voci, basso e batteria. Un megalite. Gli Abaton si perdono con piacere tra note ora suonate all’impazzata, ora lente e ossessive, scandite con ancor più follia dal bravo Simone al microfono. Menzione a parte per la band di Mike e soci. Il trio, nonostante l’assenza del batterista originale (“fa supplenza” proprio Damiano degli Abaton) e nonostante sia costretto a tagliare la scaletta (a quanto pare erano previsti altri brani da Cyclops), sa tenere la scena come suo solito e mostra il suo lato accattivante e disturbante. Viscera/// getta via sul palco paure, negatività e odio. Una band che ha sempre saputo sperimentare senza mai snaturare il proprio sound.
Tocca ai Lamantide, pure loro brevi ma intensi. L’esecuzione nella quasi interezza (viene esclusa infatti la song “Esistere”) dell’ep di debutto sottolinea l’affiatamento della band, anch’essa in procinto di registrare il secondo album, di cui presenta un brano intitolato “Di Bui E Terre”. Immancabile “O Fortuna”, posta quasi sul finale. Entusiasmo ulteriore da parte mia per “Nihili Ergo Sum”, coi suoi stacchi in blast e i refrain irresistibili.
Come dicevo, la serata si rivela sin da subito originale ed è piacevole notarne l’unicità. La maggior parte dei gruppi ha scelto Macigni come evento adatto a presentare brani inediti. Non sono da meno i Three Steps To The Ocean: quattro pezzi che faranno parte del prossimo full-length, più “Zilco” tratta dall’affascinante Scents. Accompagnati (così come Abaton e Viscera///) dai visual onirici di Serena Doe, sono autori di un elegantissimo postcore strumentale, che integrano abilmente con un’elettronica in grado di donare alle composizioni un’aurea celestiale.
Passare dagli accenti delicati dei Three Steps To The Ocean al live disumano dei quattro pazzi francesi fa un certo effetto e gioca ancora a favore di questo festival. Si parte. Johan dà cenno di spegnere le luci, dopo qualche secondo si manifestano i Celeste nel panorama a loro più caro: buio, tanto fumo, neon rossi che fuggono a ritmo di schegge impazzite, i loro brani che si schiantano al suolo senza pietà. Delirio. Ci si ritrova in poco tempo disorientati, spazzati via dai loro ritmi velenosi. Sono poche le parole che vengono da scrivere per un live del genere. La rara intensità, la violenza sparsa senza pause, senza annunciare nulla, senza dire alcuna parola nei momenti di silenzio. Sulle note di “Toucher Ce Vide Béant Attise Ma Fascination” si chiude un’esperienza allucinante. Questo è poco ma sicuro. (Davide Montoro)
CELESTE + SEDNA + O, 13/7/2014
Bologna, Freakout.
In una domenica di luglio in cui la malinconia la fa da padrona, la prospettiva di un live di questo tipo non può che coronare la fine dell’ennesima e incerta settimana estiva. Il Freakout si riempirà progressivamente con l’avvicinarsi del turno dei Celeste: quando gli O iniziano a suonare, dunque, il pubblico è ridotto all’osso. Mi piacerebbe poter scrivere che la motivazione non è in alcun modo legata alla finale dei mondiali di calcio, ma vi direi una bugia, mentre è un fatto che chi è rimasto col posteriore legato al divano di casa (o alla sedia di un pub assaltato da studenti Erasmus tedeschi) si è perso un live intenso e senza un attimo di tregua. Gli O sanno gestire a meraviglia palco e platea, suonando circondati da spettatori inconsciamente accecati da abbaglianti color ocra. L’atmosfera è elettrica e vibrante, la musica scorre veloce toccando brani tratti da Il Vuoto Perfetto, e pesta fortissimo, lasciando qualche attimo di respiro che non permette comunque di tornare a galla. Il live è lungo e i contrasti brulicano e si fanno man mano più evidenti: se l’atmosfera è calda e partecipe (le influenze hardcore sono palpabili e quando un cantante scende dal palco non si può che esserne contenti), le canzoni degli O scorrono fuori dalle casse come acqua nera che lentamente ti sommerge e dentro la quale annegare è un piacere. Affanculo soccorsi e salvataggio.
Di diversi liquami si bagnano i romagnoli Sedna. In attesa dell’uscita del suo album omonimo, la band ha portato in giro per qualche data italiana alcuni brani nuovi, inoltre ha condiviso una gustosa preview della sua collaborazione con Stefania ?Alos Pedretti. Per quel che possiamo intendere, questi inediti hanno una lunga maturazione ambient che si integra e si lega in maniera efficace con il black metal più asettico e crudo. Il live non si veste le spalle di nessun effetto, nessuna luce, nessun orpello: un sound monolitico e paralizzante congela tutto ciò che si trova davanti e non lascia in vita nessuna piccola fiamma. La musica è sufficientemente corposa per saturare e soffocare la stanza. Tra interludi doom e raffiche di sperimentazioni, i Sedna suonano sul palco faccia a faccia, racchiusi tra loro e rivolti a se stessi, come ignorando ciò che accade attorno. Il pubblico non riesce a penetrare il muro di vetro che viene costruito brano dopo brano.
Dopo una pausa, i Celeste distruggono ogni particella d’aria respirabile con la loro aura fumosa e annientano l’atmosfera stimolando e irritando i sensi dei presenti. La musica pesa sul pubblico come macigni sospesi nel vuoto e pronti a crollare nel momento in cui si azionano le luci stroboscopiche, e ogni certezza è perduta. I piccoli led rossi sulle fronti dei Celeste rappresentano l’unica possibilità di accertare la reale presenza di esseri umani sul palco, e giocano una partita diabolica contro la retina dei tuoi occhi (e tu perderai). Un unico, lunghissimo brano avrebbe reso perfetto il contrasto tra estasi e annichilimento, ma ci dobbiamo “accontentare” di una divisione in tracce – le stesse per le tre date – con pochissimi secondi di pausa tra una e l’altra.
Il cerchio è completo, ma saremmo pronti per ricominciare tutto daccapo. “Time is a flat circle”.
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