Celiachia e il consumo dei cereali

Creato il 22 dicembre 2010 da Scienziatodelcibo @scienziatodelci

Due disturbi legati al consumo di grano, l’allergia e la celiachia, affliggono sempre più persone. Molta gente inoltre, pur non essendo allergica o celiaca, lamenta disturbi intestinali, come difficoltà digestive, gonfiori e coliche, quando consuma prodotti con farina di grano. In una intervista a Valore Alimentare, 10 luglio 2010, il Dott. Matteo Giannattasio (Medico e agronomo, Attualmente tiene il corso “Qualità degli alimenti e salute del consumatore” all’Università di Padova ed è consulente del Servizio di Allergologia dell’Ospedale dermatologico “San Gallicano” di Roma) si pone alcune domande.

C’è da chiedersi come mai un alimento che ha nutrito l’uomo fin dalle sue origini e al quale l’umanità ha sempre attribuito un alto valore spirituale e simbolico (si pensi all’ostia fatta di farina che nel rito dell’eucarestia rappresenta il corpo di Cristo), stia diventando così poco tollerato. E ancora, perché tra i vari costituenti della farina è il glutine a destare maggiore preoccupazione? Gli scienziati non hanno ancora dato una risposta a tali quesiti. Io proverò a farlo ripercorrendo la storia del cosiddetto “miglioramento” genetico del grano che è stato effettuato negli ultimi cento anni.

Il lavoro dei genetisti degli ultimi 100 anni ha permesso di aumentare la produzione del grano e di sfamare la gente. L’intento era nobile ma la modalità scelta per raggiungerlo è criticabile per certi aspetti. Si è pensato a spingere la produttività alle stelle anche a costo di compromettere la qualità che sta a cuore al consumatore (sapore, assenza di pesticidi, contenuto in sostanze salutari, digeribilità). Non considerando che il grano è per sua natura parco nell’assorbimento dell’azoto minerale dal terreno, sono stati prodotti incroci che danno rese smisurate (anche 80 quintali/ettaro, a fronte dei 20 di fine ottocento) sotto la spinta di concimazioni con nitrati.

Ma poiché il grano in queste condizioni alletta (cioè si flette verso il suolo), i genetisti, nel tentativo di evitare che ciò accadesse, hanno pensato anche di abbassare la taglia dei suoi culmi. Le antiche varietà di grano superano il metro e mezzo, le più moderne arrivano stentatamente ad un metro.

Forzatura con concimazioni con nitrati e riduzione della taglia sono due oltraggi alla natura solare del grano. Per arrivare a tanto i genetisti non si sono accontentati di produrre ibridi incrociando tra loro varietà diverse, ma hanno addirittura trattato piante (della nobile varietà Senatore Cappelli) con radiazioni nucleari. Così pare sia nato il Creso, che ha fatto da genitore a gran parte delle varietà di grano duro oggi coltivate. Inoltre sono già pronte piante di grano geneticamente modificate, tra cui una nella quale è stata alterata la composizione qualitativa dell’amido per rallentare il raffermamento del pane che, quando prodotto industrialmente, rimane morbido soltanto per qualche ora.

La varietà Creso, ottenuta nel Centro di studi nucleari del CNEN della Casaccia (Roma) nel 1974 è stata una di quelle maggiormente utilizzate negli ultimi trentanni nelle coltivazioni italiane. Il grano duro Creso è un incrocio tra la varieta’ messicana Cymmit e l’italiana Cp B144, mutante della Cappelli (Grano duro) ottenuta sottoponendo il grano Cappelli a bombardamento con raggi X o gamma.
In Italia non è permessa la coltivazione all’aperto di varietà Ogm, pero’ e’ stata permessa la commercializzazione di quel tipo di grano a mutazione genetica….
Oggi coltiviamo in tutta Italia il popolare grano duro detto Creso“, chiamato cosi’ proprio per una mutazione ottenuta nel 1974 irraggiando la varietà del tipo di frumento chiamato “Cappelli” (dal nome del creatore di questa varietà) con raggi gamma irrorando i campi con acque provenienti di reattori nucleari.
Oggi Tutti mangiamo pane, pasta, dolci ecc., fatti con il grano Creso.

Il Grano Creso contiene una piu’ elevata quantita’ di Glutine rispetto al grano Cappelli del quale e’ una mutazione genetica.

Da oltre vent’anni, insomma, gli italiani si nutrono con un OGM, “organismo geneticamente modificato”, brevettato e ampliamente commerciato alla luce del sole senza che si siano registrati inconvenienti, anzi con un successo commerciale senza precedenti e di cui non siamo debitori alle multinazionali”.
Sintesi del pensiero di  Tullio Regge – 18 Mag. 2000
Risposta del prof Pecchiai (Ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche presso l’Istituto di Anatomia Patologica dell’Università di Milano, Primario Patologo Emerito dell’Ospedale dei Bambini “Vittore Buzzi” – Milano – Direttore del Centro di Eubiotica Umana di Milano – Esperto di Alimentazione e Medicina Naturale, ha svolto tutta la sua carriera nello studio delle cause delle malattie.)
“Sembra fondata l’ipotesi, che la modifica genetica di questo frumento sia correlata a una modificazione della sua proteina, e in particolare di una sua frazione, la gliadina, che e’ una proteina basica, dalla quale per digestione peptica-triptica, si ottiene una sostanza chiamata frazione III di Frazer, alla quale e’ dovuta l’enteropatia infiammatoria e quindi il malassorbimento.
E’ evidente la necessita’ di dimostrare scientificamente una differenza della composizione aminoacidica della gliadina del frumento nanizzato, geneticamente modificato, rispetto al frumento originario.
Quando questo fosse dimostrato, sarebbe ovvio eliminare la produzione di questo frumento, prima che tutte le future generazioni diventino intolleranti al glutine, cosi’ da costringere lo Stato ad accollarsi l’onere di fornire a tutti prodotti esenti da glutine, dalla farina alla pasta, ai biscotti (come peraltro gia’ ora avviene)”.
Il Cappelli mutato, oggi denominato Creso, rende conto di circa il 90% della pasta venduta in Italia ma gli ambientalisti continuano a nutrirsene e a cambiare argomento della conversazione quando qualche scriteriato come il sottoscritto ne cita le origini. In tutto il mondo circolano ormai migliaia di varietà di esteso consumo modificate mediante radiazione gamma”.
P
roprio quel grano e’ corresponsabile oltre ai vaccini, dell’enorme aumento della celiachia (e non solo, ma anche delle malattie degenerative tipo Distrofia, sclerosi ecc.), per l’alterazione del pH digestivo e la perdita di Flora batterica autoctona, che determinano anomale reazioni anche per l’aumento di Glutine che quel tipo di grano mutato geneticamente ha apportato all’alimentazione umana ! vedi

Il lavoro fatto dai genetisti e le concimazioni spinte con nitrati permettono anche di ottenere farine ricche di glutine. Ciò conviene all’industria alimentare perché si semplificano e si accelerano i processi di produzione del pane (addirittura oggi per la panificazione si usano farine addizionate di glutine) e della pasta.

Lo stesso non si può dire per il consumatore che, invece, vorrebbe prodotti ottenuti utilizzando farine pregiate e processi di lavorazione che non ne mortifichino la qualità.

L’aumento dei disturbi connessi al consumo di grano

Alcuni componenti del glutine appartenenti alle gliadine sono responsabili della celiachia (un tempo si chiamava “intolleranza al glutine”), un disturbo che colpisce soltanto persone predisposte. Le gliadine, e in misura minore le glutenine, contengono la maggior parte delle proteine responsabili dell’allergia alimentare al grano.
Il glutine è anche difficile da digerire e ciò spiegherebbe l’insorgenza dei disturbi di cui si lamentano molte persone dopo aver mangiato prodotti a base di farina (la cosiddetta intolleranza al grano).
Va sottolineato che l’aumento della quantità di glutine conseguito con il lavoro fatto dai genetisti moderni e con le pratiche colturali correnti è a carico soprattutto delle temibili gliadine.

Il biologico e il biodinamico in controtendenza

Il lavoro di “miglioramento” genetico del grano finora svolto, (che ai suoi primordi in epoca fascista fu enfaticamente definito “la battaglia del grano”) ha sì permesso di aumentare enormemente le rese, ma ha purtroppo lasciato sul campo tante vittime: migliaia di varietà rustiche e adattabili a bassi livelli azotati scomparse, contadini costretti a comprare sementi dalle industrie (che attualmente offrono, di fatto, non più di 5-6 varietà, alla faccia della biodiversità), terre marginali abbandonate, prodotti di qualità scadente… e le tante persone che oggi hanno paura di sentirsi male mangiando prodotti a base di grano.

Ai consumatori desiderosi di riconciliarsi con il grano e di godere delle sue virtù, resta oggi un’opportunità: ricorrere al consumo di varietà di grano e di specie affini che sono state poco o per nulla manipolate dai genetisti moderni, come il farro (soprattutto il dicocco e il prezioso monococco), il kamut, varietà come il Senatore Cappelli, selezionato agli inizi del secolo scorso prima che i genetisti fossero presi dalla frenesia di produrre incroci. Questi cereali sono ottenuti ricorrendo al metodo biologico o a quello biodinamico, ovvero a metodi che non oltraggiano la solarità del grano con le concimazioni azotate di sintesi e con i trattamenti con i terribili pesticidi praticati dall’agricoltura industriale. È vero, le rese sono più basse (mediamente del 30%), ma la qualità è superiore. Lo sanno bene i fornai, quando panificano con delle buone farine biologiche o con farine biodinamiche, e i consumatori, quando addentano un pane ben lievitato fatto con queste farine. All’agricoltura biologica e a quella biodinamica spetta ora il compito di individuare e selezionare varietà di grano che rispondano con rese più soddisfacenti ai metodi agronomici che esse impiegano.