Cenname

Da Astonvilla

Sta diventando un eroe del popolo del web, un simbolo della politica del fare, della lotta del cittadino comune contro il Leviatano della burocrazia e gli abusi del potere. Ma anche la tv si è accorta di lui: giovedì scorso ha raccontato la sua vicenda ad Annozero, mentre domenica a Report Milena Gabanelli gli ha dedicato un ampio servizio significativamente intitolato «C’è chi dice no». Perché Vincenzo Cenname, sindaco di Camigliano, paesino di 2 mila abitanti arroccato sulle falde del Monte Maggiore, sta diventando famoso per il no opposto alla legge 26 varata dal governo Berlusconi: «Una norma— spiega— che mi imponeva di trasferire tutte le competenze del servizio di raccolta dei rifiuti urbani al Consorzio unico di bacino. Ma noi, gestendolo direttamente, con soli 4 dipendenti, eravamo arrivati a superare la quota del 60% di differenziata. E i nostri cittadini risparmiavano più del 30% rispetto alla tariffa in vigore nel resto della provincia». Non è bastato. Ai primi di agosto Cenname è stato dichiarato decaduto dal Consiglio dei ministri. Uno zelo singolare, che non ha trovato riscontro in circostanze ben più gravi: «Camigliano — ha sottolineato Milena Gabanelli — dista appena 80 chilometri da Fondi, il Comune infiltrato dalla camorra che l’anno scorso il ministro Maroni si è guardato bene dal commissariare. Per Camigliano ha impiegato soli 10 giorni. Non c’è niente di più pericoloso del buon esempio».
Ora Vincenzo è a casa, mentre i sindaci che la differenziata non la fanno, o raggiungono quote irrisorie, sono ancora al loro posto. E intanto, come ulteriore beffa, dalla fine di settembre la Protezione civile autorizza i Comuni che denunciano disservizi a rescindere il contratto con il Consorzio: in poche settimane, l’hanno già fatto Sparanise e Piedimonte Matese. Il sindaco che ha osato sfidare il governo ha 38 anni, una laurea in ingegneria ambientale («faccio il libero professionista; ma da qualche mese ho anche un contratto part time con il Comune di Teano»), e vive ancora con i genitori. «Mi sono avvicinato alla politica da giovanissimo — racconta — attraverso l’associazionismo. Mi sento di centrosinistra, anche se sono profondamente deluso dai partiti, da tutti i partiti. Per me la politica è essenzialmente impegno a favore del mio territorio. Nel 2002 mi sono candidato per la prima volta al consiglio comunale, sono stato eletto e subito nominato assessore e vicesindaco».
Poi, nel 2007, la candidatura a sindaco. Fu un trionfo: eletto con quasi il 70% dei voti. Dopo due mesi, la chiusura della cava calcarea che incombeva su Camigliano, fortemente osteggiata dai cittadini: «Sovrapponendo le planimetrie con il progetto presentato in Regione, mi ero accorto che avevano già superato, e di parecchio, le quote estrattive assegnate». E ancora, la lotta contro l’impianto eolico: «Avevamo indetto un referendum e i cittadini si erano espressi a favore. Ma in corso d’opera, hanno provato a cambiare le carte in tavola: iniziative del genere non possono passare senza il pieno avallo del territorio». In questi tre anni, tuttavia, lo sforzo principale è stato rivolto agli «investimenti immateriali»: progetti indispensabili per creare una coscienza civica.
Come gli «ecoeuro», buoni fino a 30 euro da spendere nei negozi convenzionati dati bambini delle elementari (ma anche alle famiglie) per sensibilizzarli alla differenziata. Oppure i corsi di musica, danza, calcio, volley, lavorazione della ceramica. Un’amministrazione vicina ai bisogni dei cittadini, con ricette semplici e buon senso. Alle neo mamme vengono consegnati 7 pannolini di stoffa per evitare l’acquisto di quelli usa e getta (circa 800 euro di risparmio per le famiglie). Gli oli vegetali di cottura vengono raccolti e venduti. E i bilanci sono a posto, anzi Camigliano ha un attivo di quasi 220 mila euro. Vincenzo non si monta la testa per gli innumerevoli attestati di stima e le interviste televisive: «Il mio unico auspicio è che si metta in moto un processo di contaminazione e partecipazione: non è più il momento di delegare, bisogna rimboccarsi le maniche».
Pietro Falco

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