Cenni su “Il Periplo di Baldassarre”, di Amin Maalouf

Creato il 30 luglio 2012 da Postscriptum

Un buon numero di israeliti pensarono che finalmente fosse giunto il Messia tanto atteso, ben altra cosa che quel millantatore, figlio del dubbio di un agiato falegname. Il suo nome era Shabbatai Tzevi, maestro della Cabala e mistico affermato, nato a Smirne nel 1626. Con atteggiamento napoleonico si auto-proclamò Messia nel fatidico anno ebraico 5407. Il Sultano Maometto IV – detto il Cacciatore – volle ad ogni modo accertarsi della Verità assoluta ed incontestabile di tale affermazione, invitando l’Ebreo a dimostrarsi Messia tramite Miracolo, pena la morte. Ciò condusse  Shabbathai ad una provvidenziale, immediata e sentita conversione all’Islam. Shabbatai Tzevi divenne allora Aziz Maometto Effendi. Così vanno le cose del mondo.

Anche di questo tratta il bel libro di Amin Maalouf “Il periplo di Baldassarre”, un romanzo on the road, ambientato nell’anno della Bestia 1666. Per certi versi si può parlare di un vero e proprio prontuario per la fine del mondo, ormai del resto imminente.

…Spero vivamente che abbiate messo dentifricio e spazzolino pronti!

Le parole del Libanese sono sicuramente rese in un italiano sterile, ma basta l’immaginazione a supplire le eventuali asprezze dell’architettura sintattica, quel tanto da non sottrarre al romanzo la giusta capacità ammaliatrice.

Baldassarre è un figlio di Genova, tuttavia nato e cresciuto in terra musulmana. Per circostanze che voglio tacere a beneficio del lettore, si ritrova a dover viaggiare lungo una rotta che attraversa il deserto, Costantinopoli, Lisbona, Londra, Calais e Genova, alla ricerca di un misterioso libro contenente riferimenti all’apocalisse allora in programma per il 1666.

Il libro, come lasciavo intuire, è attuale, in attesa del Dicembre 2012 o del Big One siciliano… a proposito, non dimenticate le gomme da masticare anti-nausea…

“Tutto diventa segno o presagio per chi è lì che aspetta, pronto a stupirsi, pronto a interpretare, pronto a immaginare concordanze e raffronti.”

Il passo non può che ricordare il Pendolo di Focault di Eco. Ma ciò che sorprende – forse neanche più di tanto – è come il romanzo riesca a ridicolizzare l’atteggiamento millenarista di ogni tempo:

“Ma come sarà l’età che sta per cominciare? A cosa somiglierà il mondo dopo la fine del mondo? Bisognerà morire prima in un qualche cataclisma perché sopraggiunga la Resurrezione? Oppure si tratterà soltanto dell’inizio di una nuova era, di un nuovo regno: il regno di Dio ristabilito sulla terra, dopo che tutti i governi umani hanno dimostrato un secolo dopo l’altro la loro iniquità e la loro corruzione?”

Qualcuno dirà che i grandi eventi distruttivi sono sempre evocati dal senso di colpa, e probabilmente sono persino d’accordo, ma non sottovaluterei la percezione della piacevolezza nell’attendere.

Intanto, è di qualche settimana fa la notizia che uno staff di scienziati, interrogato sulla possibile fine della civiltà terrestre, ha risposto che l’unica salvezza dell’umanità potrebbe essere un cataclisma.

Gaetano Celestre


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