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“Cento madri” di Alfonso Lentini

Creato il 19 aprile 2010 da Viadellebelledonne

“Cento madri” di Alfonso LentiniInsula 1

Cento madri” di Alfonso Lentini (Foschi editore) si apre con un corsivo sulle mongolfiere. O meglio. Con lo sguardo di occhi bambini che le osservano, affascinanti e colorate, con i nasi all’insù, le bocche un poco aperte per lo stupore; le mongolfiere che si staccano da terra e cominciano il loro volo verticale trascinando con sé attese e speranze. Corsivo che ci introduce in pieno nello spirito del libro perché il libro racconta di un viaggio che conduce il protagonista (e noi lettori) sulla soglia di un altro viaggio.

Il protagonista, infatti, proprio come le mongolfiere che prima di innalzarsi devono sciogliere le corde che le tengono ancorate al suolo, dovrà sciogliere ad una ad una tutte le radici che lo legano. E in queste radici mi sento di ravvisare le “cento madri” del titolo. Tuttavia questo romanzo non narra, almeno non nel senso classico del termine,in quanto il suo andamento somiglia più all’atto del ricordare e del ricordo ha il fluttuare, l’andare e il venire, le corse, le soste, il rallentare e più che la storia di una formazione (che potrebbe far pensare a Goethe e a Novalis) narra del terreno su cui questa è avvenuta. Tuttavia una formazione c’è stata. Formazione che ha avuto luogo in una terra ricca, nel bene e nel male, di stimoli che hanno messo alla prova la sensibilità e l’intelligenza del protagonista il quale attraverso una mente duttile e curiosa, aperta e desiderosa di conoscere, esplora se stesso e il mondo circostante pieno di “misteri”, un mondo che ha l’aspetto di un “nulla” gravido di domande. Eppure, si potrebbe pensare, con le sue cento madri il protagonista dovrebbe essere avvantaggiato, ma se da un lato è così dall’altro cento madri possono essere troppe da sostenere, possono soffocare, possono diventare una prigione o al contrario, ma con lo stesso effetto, una vasta pianura senza alcun punto di riferimento dove lo sguardo annaspa sgomento e sperso.

Ho avuto cento madri e un bisogno disperato di argini. Il bambino ne aveva necessità e urgenza perché si sentiva straripare”.

Interessante notare come nella narrazione a volte emerga la prima persona a volte la terza come una sorta di controcanto, un duetto, un prendere le distanze e la misura tra quello che è rimasto io e quello che è diventato egli, lui e trovarne il raccordo, la nota che li accomuna. Cento madri dunque che sono state un eccesso, un’ eccedenza di destino così riccamente e variamente nutrito e passate, tutte e cento, attraverso il setaccio della penna, di una scrittura densa e corposa, poetica e cruda nello stesso tempo e forse è questo ciò che la rende fluida e scorrevole, perfettamente aderente alla vita con le sue luci e le sue ombre, con la sua bellezza e la sua crudeltà. Il tutto immerso in un tempo vitale e fecondo, un tempo ricco di un suo specifico carattere, di una specifica identità che ha lasciato nell’animo del protagonista delle tracce indelebili, ma anche delle suggestioni, echi di voci, di colori, echi di storie che sono sedimentate dentro di lui e lo hanno accompagnato durante tutta la sua esistenza, almeno fino al momento in cui la pressione è stata talmente forte da costringerlo a riversare sulla pagina bianca tutto il suo vissuto.

Il bambino, divenuto adolescente, poi giovane, poi forte, conserva di tutto questo un ricordo confuso e neanche lui saprebbe più ricostruire concatenazioni, eventi, fatti reali. Il troppo tempo e il troppo dolore hanno lavato via quasi tutto. Rimane qualche filo o filìnia.”

Il bambino. Ma l’uomo e lo scrittore, per nostra fortuna, è riuscito a riprendere quel filo e seguendolo ha ricostruito il mistero che sottende ogni essere umano, che accompagna ogni nascita e ri-nascita, quella che il protagonista compie alla fine del romanzo. Dicevo ogni nascita perché ogni nuovo nato porta con sé e rinnova le speranze e le aspettative della famiglia in cui nasce, eppure i figli non sempre (ed è giusto che sia così!) corrispondono a queste aspettative e spesso seguono strade diverse, impreviste, strade loro, uniche come unico è ogni essere umano. Così ecco la contestazione, la ribellione verso tutto quel mondo che ci ha accolti, nutriti, amati anche se non sempre compresi, quel mondo che ci ha resi ciò che siamo ma da cui si rende necessario il distacco per portare a compimento la nostra personale individualità. Più che tagliare le radici, operazione che nasconde non pochi rischi, dunque, renderle fluide, duttili, fare in modo che non siano una prigione, una limitazione ma una fonte inesauribile di nutrimento, una sorta di cordone ombelicale invisibile. Alfonso Lentini ci insegna che è possibile farlo, è possibile rendere il nostro passato, il terreno su cui siamo cresciuti, qualcosa di vivo, un alimento che ci sostenta sempre e in particolare nei momenti in cui il mondo ci appare ostile ed estraneo: quando ci si sente degli esiliati. Lui da quell’humus ha tratto anche la sua arte e la sua scrittura, la consapevolezza che vivere è pure una grande ed entusiasmante responsabilità verso se stessi e verso gli altri.

***

dall’Incipit

Son fatte di carta velina, gonfie d’aria calda, e galleggiano nel cielo notturno come lucciole giganti.

All’inizio sono solo una massa floscia, un abito da sposa disabitato e stropicciato, informe. Poi a poco a poco si gonfiano, grazie all’aria calda che le riempie, la loro pelle si fa tesa e diventano un ovoide perfetto. Sembrano impazienti di librarsi in volo.

Nella piazza gremita si respira l’aroma delle feste: zucchero filato, semi di zucca e noccioline tostate. Fumano le bancarelle delle castagne, adorne di lampioncini, nel buio teporoso. Filtra, a folate, un profumo di mare siciliano e di alghe marce. È la festa del Santo.

Gonfie, pelle tesa, le mongolfiere sono ormai pronte al volo; le vedrai esitare, come esse stesse sorprese di quanto sta avvenendo di meraviglioso, e ondeggiare nell’aria al minimo soffio. Timide.

Ma subito dopo vedrai che acquistano coraggio e si staccano dal suolo, prima con lentezza, poi sempre più sicure di sé.

Se c’è un alito di vento, alcune si inclineranno leggermente, assecondando la corrente; e la loro traiettoria segnerà nel cielo una grande curva luminescente, un fioco arcobaleno elegantissimo.

Nella piazza gremita sono tutti col naso in aria per cercare con gli occhi, nello scuro del cielo, sette puntini luminosi in fila che ondeggiano in ascensione.

(Avevamo, in quei tempi rossastri, gli occhi rivolti al cielo. E forse non solo noi bambini.

Le mongolfiere si libravano sopra le nostre teste, coloratissime, fragili e rigonfie, come copiate da un sogno. Ma erano anche i tempi dei primi voli spaziali. Lo Sputnik perso negli abissi slabbrati del cosmo, così piccolo e pigolante, ci faceva quasi pena, ma ci arrossava le gote, ci eccitava forsennatamente.

Alcuni avvistavano dischi volanti. Qualcuno di noi ragazzini credeva ancora nell’Angelo Custode.

Dal cielo insomma, confusamente, pensavamo potesse arrivare una qualche salvezza).

***

Sono nato in Sicilia nel 1951, vivo a Belluno dalla fine degli anni Settanta.
Insegnante, opero nel campo delle arti visive, della scrittura e della ricerca verbo-visuale.
Ho pubblicato vari libri fra cui: il romanzo-saggio “La chiave dell’incanto” (Pungitopo, Messina 1997), il testo poetico “Mio minimo oceano di croci” (Anterem, Verona 2000), “Piccolo inventario degli specchi” (Stampa Alternativa, Viterbo 2003) e il romanzo “Un bellunese di Patagonia” (Stampa Alternativa, 2004). Al libro “Piccolo inventario degli specchi” alcuni artisti del Centro Verifica 8+1 di Mestre hanno dedicato la mostra “Concrescenze speculari”.
Un mio romanzo, “Cento madri”, è risultato vincitore del premio letterario nazionale “Città di Forlì” ed è stato pubblicato nel 2009 dalle edizioni Foschi con postfazione di Paolo Ruffilli.
Nelle mie mostre e installazioni propongo opere basate sulla valorizzazione della parola nella sua dimensione materiale e gestuale.
Ho realizzato “poesie oggettuali”, cioè opere materiche basate su procedimenti di solidificazione e assemblaggio di libri, parole e frammenti della quotidianità. La mia ricerca sull’oggettualizzazione della parola si è inoltre concretizzata in piccoli lavori su carta (in struttura modulare e in forma di “pagine”) denominati Insulae e in installazioni dove l’elemento dominante è l’acqua. Più recentemente ho realizzato alcune “scatole alchemiche” (denomiate “approssimazioni di albedo”) che ho esposto in una personale a Venezia in Campo del Ghetto Nuovo presso il “Françoise Calcagno Art Studio”.
Ho realizzato libri d’artista in edizione manufatta o con editori come “Pulcinoelefante” e talvolta in collaborazione con altri artisti.
Qualche volta partecipo anche a progetti di “mailart” ed ho vissuto esperienze artistiche e di scrittura insieme a utenti di Centri di Salute Mentale.



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