Una lampara sta uscendo dal porto.. un po’ prestino, questi saranno coinvolti nell’affare.
Sti cazzi come mi farei ‘na sigaretta, come me ne farei una, che manco la… ma come m’è venuta ‘sta pensata di smettere di fumare proprio ora che Giulia ci scassa la minchia che vuole “certezze” e questi lavoretti che non sono più quelli di una volta! certo ne ho fatta grana!, ma in un altro tempo, con altra gente e con altri affari.
Ecco Nico, sta tornando con la lampara che è uscita poco fa. Lo dicevo io, sono vecchio del mestiere per niente?! finalmente!, c’ho la testa che sembra mi c’hanno piantato chiodi d’acciaio.
Con Nico scendono dall’imbarcazione anche due camalli, due omoni di due metri l’uno che peseranno, talé, a occhio e croce, centocinquanta chili a cranio. Ma che ci deve fare Nico con questi armadi?
E’ assai che aspetti? Da quasi un’ora. Ma che ci devi fare con questi scaricatori di porto, il lavoro non deve essere un altro? Quello tuo è un altro! ora ti faccio vedere che si devono carricari Pinco Panco e Panco Pinco. Loro sono vecchi di quest’affari, vieni con me.
Li seguo, desiderando una sigaretta comu desidera ‘na fimmina un carcerato: anche un mozzicone vaviato e masticato da un altro. frantumo bestemmie coi denti e stritolo i calli delle mani dentro i pugni nelle tasche del giubbotto, li seguo all’interno di un container dove i due armadi sanno esattamente cosa fare: si caricano a testa di una cinquantina di chili, cioè ognuno di loro prende due casse cariche di … boh!, e usciamo. sembra una notte in cui tutti si sono appattati; in giro non c’è anima viva: né coppiette che fottono, né pescatori che si preparano per andare a guadagnarsi la giornata, perfino i lampioni del molo sono implicati, sono accesi uno si e due no. che nottata … domani chi la sente a Giulia! che fesseria ci conto?
Ritorniamo indietro e saliamo sulla lampara, piano, piano rulliamo e usciamo dal porto e mentre ci spostiamo al largo, ecco il segnale: una luce ad intermittenza; è arrivato chi doveva arrivare! ci accostiamo a un barcone enorme, di signori. E' tutto spento, quello che dobbiamo fare si deve fare al buio. I due camalli riprendono le casse e le scaricano in silenzio, si sente soltanto l’ondeggiare del barcone. Sul ponte non c’è nessuno e dagli oblò non riesco a scorgere nulla, solo buio reso ancora più nero da sta nebbia che c’ha scassato. Scendiamo nella cambusa e con un lume a petrolio, che usava mia nonna ai tempi della guerra, troviamo un mozzo ad aspettarci. Si scambiano un paio di occhiate con Nico, fanno un segno a Pinco Panco e a Panco Pinco che poggiano sul tavolo in acciaio le casse. I due omoni hanno finito il loro lavoro, si allontanano col coglione, li ascolto chiacchierare sottovoce e dopo pochi minuti sento la lampara allontanarsi e vedo Nico rientrare. Il mozzo con un piede di porco le apre e in mezzo a fili di rafia ci sono venticinque bottiglie di spumante a cassa, piene di spumante. ma che significa? poi apre una cella frigorifera e ne tira fuori quattro casse di orate, che sono tante quante le bottiglie, e le poggia sullo stesso tavolo. Intanto Nico comincia ad uscire lo spumante e a stapparlo: mette i tappi di sughero da parte e ne svuota il contenuto nel lavandino.
Cento tappi di sughero!
Hai capito di che si tratta? mi chiede mentre sta preparando il lavoro per me. Diamanti? - Proprio! Cazzo! Hai portato l’attrezzatura? Sei tu quello che fa le cose a minchia, no io! Cominciamo.
Il mozzo con un coltello a serramanico, dentro un bidone della spazzatura, inizia a sbriciolare i tappi di sughero da cui esce fuori, per ciascun tappo, un diamantino grande quanto la capocchia di una spincula. Se ne cumulano cento! il mio compito consiste nel porre sotto l’occhio congelato delle orate, quello che tocca il ghiaccio, questi diamantini. Il lavoro è davvero grosso, ma com’è che ti sei imbarcato in questa cosa? chi c’è dietro? Meno ne sappiamo, meglio è. Sono stato contattato da uno che è stato contattato da un altro, che sa che noi facciamo di questi lavoretti sbrigativi, fatti bene, puliti e perciò eccoci qua! ora allibbirtiamoci che alle sette devo essere al lavoro: ho il turno di mattina. Ma tu chi ci conterai a Giulia? ancora non lo so; il problema è che quella mi annusa e già capisce che ho sgarrato. Ma la grana è assai come facevo a dirti di no … co sta crisi poi!
Il mozzo dà una mano, non sembriamo malacarne, ma tre cuoche che stanno preparando torte. Io e Nico lavoriamo e chiacchieriamo sottovoce, mentre il mozzo va riordinando in silenzio. alle quattro meno qualcosa abbiamo già finito. Nico si allontana col mozzo, poi rientra mi sgancia la grana, tanta grana e mi chiede: Soddisfatto? gli rispondo: Alla prossima. Ci salutiamo col mozzo, di cui non so il nome, e io e il coglione ritorniamo al porto con una piccola barca a remi che è rimasta legata al barcone tutto il tempo. Non so con chi né come l’imbarcazione ritornerà indietro, né lo voglio sapere.
Io sono il “chirurgo”, a me mi chiamano quando devo operare, per il resto non sono cazzi miei.
Lucia Immordino