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“Central do Brasil”

Creato il 09 ottobre 2010 da Cinemaleo

1998: Central do Brasil di Walter Salles

“Central do Brasil”
“Central do Brasil”

“Un film –scrisse giustamente Il Sole 24-Ore- di idee e sentimenti, che permette di aprire gli occhi su una realtà quasi sempre dimenticata, invisibile dietro le immagini patinate degli opuscoli turistici. Un film per riscoprire… il piacere di un cinema che mette il sale nelle zucche”.

Al cinema mi avevano colpito la crudezza e la poesia della vicenda raccontata da Walter Sallers, rivedendolo recentemente ho provato le stesse emozioni e lo stesso entusiasmo per un lavoro che racconta in modo mirabile una storia intensa e drammatica, asciutta e senza retorica (nonostante il tema). Giustamente Central do Brasil ha ottenuto numerosi riconoscimenti: a Berlino ha ricevuto l’Orso d’Oro per il miglior film e quello d’Argento per la migliore interpretazione femminile; in America ha vinto il Golden Globe e ha avuto, assieme alla protagonista, la nomination all’Oscar.

Pur intenerendo e commuovendo, la mancanza del patetico del melodramma del facile sentimentalismo caratterizzano questo ritratto di un Brasile insolito: non il Brasile scintillante delle feste o delle spiagge miliardarie, ma il Paese misero e abbandonato a se stesso, dove dominano incontrastati ingiustizia, soprusi, violenza, superstizione, ignoranza…, un Paese dove la vita sembra valere molto poco. Un viaggio nel cuore della Nazione che è soprattutto un viaggio nell’animo della protagonista (una formidabile Fernanda Montenegro, una via di mezzo tra Giulietta Masina e Pupella Maggio), un personaggio fragile e solitario ritratto mirabilmente nel suo passaggio dall’indifferenza e cinismo alla dolcezza e compassione, dall’iniziale freddezza alla riconquista di una coscienza e dignità perdute. E la ricerca da parte del bambino del padre che lo ha abbandonato diviene la metafora delle paure e delle speranze del Brasile, la consapevolezza che bisogna lasciarsi alle spalle il passato e affrontare il futuro con un nuovo spirito (non più conflitti ma collaborazione e aiuto reciproco). Innumerevoli le scene che rimangono impresse e che difficilmente lo spettatore potrà dimenticare: l’assalto ai treni nella stazione in cui lavora la donna, l’arrivo del piccolo protagonista nella casa che crede essere di suo padre (bellissimo il primo piano su di lui e sul colpo di vento sui panni e sugli stracci stesi), la massa disperata e speranzosa che affolla il santuario, l’assassinio di un ladruncolo da parte di una specie di giustiziere (nell’indifferenza di un’inquadratura in campo lungo, un colpo di pistola sentenzia e condanna).

Stupendo il finale, veloce e commovente, dolce e amaro nello stesso tempo: Dora, dopo aver ricongiunto Josuè ai suoi due fratelli gli scrive una lettera. Ed è finalmente una lettera che Dora scrive con il cuore, non per i soldi, una lettera che Dora stavolta spedirà.

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