Una mattina a Li Punti.
C’era caldo in città, e quando ho avviato il motore dell’auto già pensavo ai 250 km di asfalto rovente che avrei dovuto affrontare prima di arrivare a destinazione. Scorrendo la rubrica per trovare un volontario che dividesse con me gioie e pene di questo viaggio non ho avuto dubbi: il mio maestro di archeologia, il prof. Giovanni Ugas. Un uomo mosso da una passione tanto forte per l’argomento “Storia della Sardegna antica” che non avrebbe battuto ciglio sui 40° che ci avrebbero accompagnato per l’intera giornata. Avevo ragione. Dopo qualche minuto era al mio fianco, e già parlavamo di tombe a pozzetto, faretrine e matriarcato.
Attraversando l’isola si aprivano squarci di vita nei campi, con buoi e mucche che incuranti del sole a picco sulla loro pelle masticavano indisturbati il pasto quotidiano, e si facevano compagnia vicino ai muretti a secco. Campi arati erano in bella mostra, è evidente un migliore sfruttamento della risorsa idrica rispetto al recente passato, quando la mancanza d’acqua e il disinteresse dell’uomo per la dura vita in campagna provocavano desolazione e incuria nel paesaggio visibile dalla 131.
Ecco il nuraghe di Mogoro, le risaie di Oristano e le prime colline che richiedono un maggiore impegno nella guida. La temperatura continua a salire, ma i discorsi del professore abbreviano la percezione del tempo trascorso all’interno dell’auto. Una foto al Santa Barbara, una alle incantevoli vallate di Macomer ed eccoci davanti al Santu Antine. Ci osserva con la magnificenza acquisita nel tempo. È bellissimo, forse ancora più di quando fu edificato. Il gusto per le antichità non mi ha mai abbandonato e questi luoghi magici sono capaci di farmi dimenticare la quotidianità.
Troppo lontane le tombe di Sant’Andrea Priu, dobbiamo arrivare al centro di restauro alle 10.30, così mi raccomandò la gentile segretaria che rispose al telefono a Li Punti e fissò l'appuntamento.
In meno di mezz’ora la grande facciata in mattoni arancioni del laboratorio, e un poster che ritrae il volto di un gigante con i suoi occhi concentrici che ci osservano, sono davanti a noi.
Il parcheggio è piccolo ma ordinato, con gli ulivi che offrono ombra e profumo di Sardegna ai visitatori.
Ci accoglie una collaboratrice della D.ssa Boninu, spiegandoci che l’archeologa è impegnata con una delegazione di politici della provincia di Oristano. Il mio primo pensiero è che siano giunti per reclamare le statue in quel di Cabras, ma quando vedo quella donna minuta addomesticare con parole ferme il gruppo dei 6 giovanotti, apparentemente grandi e grossi, ma docili come agnellini, capisco perché è lei a guidare il centro di restauro.
Un breve cenno di saluto fra i due professori, Ugas e Boninu, e iniziamo la nostra visita in attesa di fare due chiacchiere con la piccola grande donna.
Percorso uno stretto corridoio si apre davanti a noi una visione inaspettata: una parete alta oltre dieci metri, sulla nostra destra, accoglie un manifesto a tutta lunghezza che simboleggia il panorama collinare nel quale le statue dei giganti dovevano fare bella mostra di se.
I giganti sono davanti ai nostri occhi, e ci osservano con interesse. Sembrano pensare: -Chi saranno questi nuovi visitatori? Riusciranno a capire chi siamo, quando siamo nati e chi sono i nostri padri?-
Domani la seconda parte.
Le immagini mostrano l’interno della grande sala che accoglie le statue ricomposte.