Un ragazzo bulgaro mi disse che al suo paese la gente è triste, svogliata, si incrocia per la strada e non si saluta nemmeno. Chiesi allora il motivo di una depressione talmente generalizzata. Rispose che in Bulgaria c’è crisi. Poco lavoro, pochi soldi. No work, no money. E nessun sorriso. Penso che da noi le cose non vadano meglio, la crisi ha paralizzato i muscoli facciali, ha creato barriere da individuo a individuo. Nessuno ha più voglia di sognare. Durante le altre due grandi crisi del dopoguerra la gente reagì diversamente. Negli anni quaranta, con un paese distrutto e una povertà generalizzata, gli italiani si affidarono ai sogni, chi a Tex Willer, chi alle riviste patinate, chi alla cellulosa, chi arrivò a credere che la guerra civile, nel 1948, fu sventata da una fuga di Bartali al Tour de France. Negli anni settanta si scese in piazza, la grande illusione era finita, il desiderio di cambiare no. Fu una stagione tragica, ma movimentata. Oggi no. Oggi stiamo fermi, il più delle volte soli, intenti a cercare storie tristi, più tristi della nostra, possibilmente. Affidiamo la nostra disperazione a Facebook, cerchiamo risposte in agenzie che non ce le forniranno, magnifichiamo l’erba del vicino tedesco che è tanto più verde. E non ci stupiamo più. Abbiamo perso l’amore per il bello, la crisi ci ha resi cechi davanti al mondo. Potremmo impiegare il troppo tempo libero per visitare luoghi della nostra città che non abbiamo mai considerato, per guardare quel film che non abbiamo mai avuto tempo di vedere, per leggere quel libro che ci hanno consigliato, per fare un’ora di volontariato. Ma la testa è altrove. Proponete e vi diranno che in questo momento ci sono problemi più grandi. Non arrivo a fine mese, sai cosa mi importa degli affreschi del Correggio? E ce ne stiamo a casa, arrabbiati con la casta, impotenti davanti a un computer che sa solamente sputare sentenze. Ricordo una novella di Pirandello, “Ciàula scopre la luna”. Il protagonista è Ciàula, poco più che bambino e sempre vissuto nella miniera di zolfo, dove lavora in condizioni terribili, sfruttato e maltrattato. Una notte, in seguito ad una esplosione nella miniera, Ciàula esce all’aria aperta. Guardando in alto vede la luna. Ciàula sapeva della sua esistenza, ma non si era mai soffermato a guardarla. Vedendola così bella e splendente, si mise a piangere. Era l’unica occasione di bellezza che la vita gli avrebbe offerto e lui la sfruttò. C’è un Ciàulia in tutti noi e c’è ben più di una luna nei luoghi dove abitiamo. Smettiamo di chiedere la luna, cerchiamola. Così almeno una crisi, la nostra, la sconfiggeremo.
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