D. Eisenberg, Cervantes, el mundo musulmán, y la guerra de Irak
e la lettura, in quanto atto, non è mai innocente, il che non significa che essa sia colpevole, ma che la verità del testo è quella della sua letturaOccuparsi di letteratura implica una ricerca del reale e delle sue possibili letture attraverso la lettura.
Credo che sia un processo necessario per capire la complessità del mondo. Implica allo stesso tempo uno sforzo di onestà intellettuale e necessità di precisione e criteri scientifici, il che comporta uno studio preciso e meticoloso di tutto ciò che si afferma, permettendoci di sfuggire all’ipocrisia e al pregiudizio. Quindi, anche se personalmente non condivido l’idea di interpellare Cervantes circa la guerra in Iraq, potrebbe essere un processo lecito se fatto con il necessario rigore intellettuale e una seria impostazione.
Ma Eisenberg utilizza – non legge – Cervantes per giustificare l’imperialismo. Decostruire l’intero articolo sarebbe alquanto prolisso e do all’interessato lettore la libertà di farlo qui.
L’autore esordisce paragonando i prigionieri del bagno di Algeri all’esperienza dei prigionieri nei campi di concentramento, mantiene una discreta superficialità nel trattare Cervantes e sprofonda nel razzismo e nell’ignoranza più miseri nell’affrontare il mondo arabo in una manichea divisione tra questo e l’occidente.
Incappa in molti errori, parla di Algeria e della sua assenza di cultura senza probabilmente nemmeno sapere dove si trovi esattamente (sulla geografia è debole in più punti). Nega l’esistenza di una letteratura irachena se non della diaspora. Naturalmente senza citare alcuna fonte.
Inizia poi una folle arringa contro Saddam Hussein che nel suo apice afferma: “C’è un’eccezione significativa in questa sua ricchezza [la ricchezza economica di Hussein]: non aveva né opere d’arte né biblioteca. Hitler era pittore e i nazisti rubavano opere d’arte e le portavano in Germania. Dobbiamo riconoscere che erano criminali colti.” La filippica poi conclude con la frase: “E che Dio lo abbia punito con la sua sconfitta da parte delle forze del suo grande nemico, e con la morte dei suoi figli”. Niente male no?
L’articolo si conclude con la presa di coscienza della minaccia che incombe sulla civiltà occidentale minaccia alla quale dovremmo rispondere usando come arma i libri e le biblioteche. Partendo dal presupposto che i “nemici” (arabi, musulmani, cattivi ovviamente) ne sono sprovvisti.
Questo saggio mi sembra un’ottimo esempio di mancanza di onestà intellettuale, di metodo e di ignoranza manichea.
Non sorprende che lo scrittore sia professore associato all’università della Florida nonché editore della rivista ufficiale dell’Associazione Cervantisti Americani.
(questo post è mio e di Silvia Rigon)
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