Si intitola Professionisti: a quali condizioni? la ricerca di Ires e Cgil sulla condizione dei lavori autonomi in Italia. Il quadro che emerge non è particolarmente felice. Ecco quanto scrive Federico Pace, analizzando i dati, in particolare sulla difficoltà di lavorare continuativamente:
Negli ultimi anni solo il 38,6 per cento è riuscito a lavorare in modo continuativo. La gran parte, però, ha vissuto a singhiozzo. Con il lavoro che va e viene. Commissioni e impegni per un po’. E poi niente. Nel complesso, nell’arco di cinque anni, sono stati coinvolti dalla discontinuità del lavoro il 61,4 per cento dei professionisti. Nell’ultimo anno il fenomeno, se possibile, è stato ancora più acuto e ha interessato il 64,6 per cento dei professionisti.
La discontinuità occupazionale sembra caratterizzare, in particolare, la vita dei lavoratori del mondo della cultura e dello spettacolo. Tra loro hanno un lavoro “intermittente” l’88,3 per cento. Le cose non vanno meglio per interpreti e traduttori se si considera che alternano lavoro e stop indesiderati il 70,6 per cento della loro categoria. La stessa cosa capita al 76,7 per cento di docenti e educatori. Simili percentuali anche per chi lavora nell’informazione e nell’editoria.
Questo è solo uno degli aspetti. Ci sono poi i problemi legati alla previdenza, alla necessità di un welfare adatto alle nuove forme di (non) lavoro, i tempi e la sicurezza dei pagamenti – in un Paese che spesso tutela più il debitore che il creditore -, il lavoro a cottimo, i ricatti dovuti alla posizione sempre subalterna…
Questa ricerca mette nero su bianco, con parecchi numeri e dati, una realtà ben conosciuta da chi vive il disagio dei percorsi obbligati della precarietà: storie che ogni giorno vengono raccontate e condivise tra social network e blog, o tra un bicchiere e un altro nei momenti di inattività. Storie che raccontano un’Italia in cui lavorare dignitosamente è sempre più difficile.
Grazie a @tanzmax e @actainrete per la segnalazione.