C’è sempre qualcosa di oggettivamente inquietante nell’approcciarsi ad un film tratto da fatti realmente accaduti. Soprattutto quando i fatti a cui ci si riferisce sono così drammatici e crudi. In questo caso Clint Eastwood firma la regia di un film capolavoro che racconta ciò che accadde ad una donna californiana nel lontanissimo 1928. La signora Collins (interpretata in modo magistrale dalla bellissima Angelina Jolie, nella seconda prova come reclusa in un ospedale psichiatrico) tornando dal lavoro non trova più il suo bambino e così si rivolge disperata alla polizia di Los Angeles affinché possa mettersi subito alla ricerca del piccolo. Ma la polizia in quel tempo era accusata di corruzione e malaffare e così per riconquistare punti agli occhi dell’opinione pubblica architetta un subdolo piano che ha come vittima proprio la Collins. Le comunica infatti di aver ritrovato suo figlio ma in realtà si tratta di un bambino sconosciuto convinto a recitare la parte del piccolo Collins. Ovviamente la donna dichiara subito che non si tratta di suo figlio ma la polizia la fa internare con la motivazione che la donna non è più in grado di distinguere la realtà dalla sua immaginazione. La donna però non si arrende e così continua a cercare suo figlio.
Il film è una ricostruzione perfetta dell’epoca, costumi, trucco, dialoghi, ambienti, tutto è frutto di uno studio attento e preciso ma nonostante questa puntigliosità il film non cade mai nel documentarismo e regala tanto a livello emozionale. Le due ore scorrono infatti veloci impreziosite da un percorso narrativo lineare, inesorabile e crudo. Un bellissimo esempio di come gli americani siano dei maestri nel campo della cinematografia anche senza l’ausilio di effetti speciali.
VOTO 9