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Charlie era un pastore tedesco, il secondo vissuto a casa nostra, succeduto a Milù e seguito da Zeus, pastore maremmano. Nessuno dei tre ha avuto una fine felice, sarà anche per questo che alla fine mia madre ha deciso di non prendere più animali e da quando anche Teo, la mitica gatta mucca, ha lasciato la famiglia i miei vivono nella grande casa soli, senza figlie e senza animali.
Charlie è entrato in casa cucciolo, non ricordo esattamente il giorno, ma ricordo le sue zampone, il suo arrivare all’improvviso di corsa dal giardino al solo suono della bustina di una merendina aperta, il suo dormire con i mici di Mussi coricati addosso, il suo modo di mangiare le ciliegie direttamente dalle nostre dita lasciandoci il picciolo in mano, il suo saltarci addosso per giocare e salutarci e il modo con cui scappava con le orecchie basse quando si accorgeva che mia madre aveva scoperto l’ennesima infradito rosicchiata.
Ci difendeva, ma senza mai essere aggressivo: se scorgeva qualcuno avvicinarsi al cancello ci avvisava abbaiando, se la stessa persona la trovava in casa era pronto a farle le coccole: sapeva che se noi le avevamo dato fiducia poteva dargliela anche lui.
Cose da niente, direte, cose da cani, forse… per noi però era molto più…
I due ricordi più forti che ho in memoria sono legati all’estate.
Nel primo c’è il sole di mezza mattina che entra dalla porta della cucina, mia sorella ha appena preso il diploma e sta ancora riposando, c’è il telefono che squilla e lei che scende le scale per rispondere e si chiude nello studio. E c’è sempre lei che pochi minuti dopo esce dallo studio, dice solo “Massimo è morto” e si accascia su una sedia in lacrime. Charlie non sa che Massimo era uno dei scuoi compagni di classe, che la sera prima è uscito con gli altri per festeggiare il diploma, non sa che era seduto sul sedile di dietro e non avendo la cintura è stato sbalzato fuori dalla macchina dall’urto. Non sa nemmeno che l’anno scorso, nello stesso periodo, sempre dopo il diploma è successa quasi la stessa cosa ad un ragazzo diplomato insieme a me, in Vespa, a Bologna, mentre con la fidanzata, seduta in macchina dietro con i genitori, andava a cercare la casa per i futuri studi universitari. Non sa niente di tutto questo, ma sente che mia sorella sta male e sta piangendo, e allora le poggia il muso sulla gamba e piange con lei.
È sempre estate quando Charlie inizia a stare male. Noi eravamo ancora all’Università, i miei erano pronti a partire per il mare dove li avremo raggiunti. Sangue dal naso, visita immediata dal veterinario, prelievo di sangue e responso, tragico, che ci raggiunge al mare e ci riporta immediatamente a casa: Lehismaniosi… ad un brutto stadio purtroppo. Per una settimana mia madre gli ha fatto ogni giorno delle iniezioni e ha cercato di fargli ingurgitare, senza riuscirci, le pillole prescritte. Charlie nel frattempo ha smesso di mangiare, sta quasi sempre steso e ci guarda con occhi sempre più velati.
È pomeriggio, questa volta, quando mia madre ci viene a chiamare: “Credo che Charlie stia morendo”.
Ed è così che Charlie ci ha lasciato, steso ai piedi dei divani della cucina, con l’intera famiglia in lacrime intorno.
È l’unica volta che ho visto mio padre piangere.
Sarò esagerata, ma ancora oggi non riesco a raccontarlo senza sentire le lacrime agli occhi.
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