A pochi giorni dalla strage che ha coinvolto mezza redazione del giornale satirico francese Charlie Hedbo si ritiene che sia passato abbastanza tempo per lasciarsi andare a qualche riflessione. La prima che sorge è quella che la collega all’ultimissima notizia riguardante il terrorismo, ossia il pagamento del riscatto per due attiviste italiane rapite dal fronte Al-Nusra in Siria.
Ma andiamo con ordine. L’uccisione di 11 persone ha (ri)scosso l’Occidente, per la seconda volta (la prima fu l’11 settembre) centinaia di milioni di persone si sono accorte di non essere invulnerabili, di poter diventare obiettivi di un attacco sferrato da qualcosa di non chiaro e di non controllabile. A mio parere c’è della banalità in questa sensazione, e vi è perché divide il mondo in due zone (una sicura e l’altra pericolosa, la prima poi coincide anche con quella sviluppata ricca e perbene mentre la seconda è fatta di morti di fame incivili e ladri) nettamente separate da un muro invalicabile.
A tale prima reazione se ne aggiunge una seconda, che va a legarsi ai diritti civili, e serve soprattutto a mascherare la banalità della prima. Questo è stato il punto più fortificato in seguito alla comune levata di scudi: “la satira è un diritto, dire la propria è un diritto; impedire ciò è una barbarie”. Ma anche questa è, sì una bella costruzione, ma irreale.
Non suscitò infatti certo scalpore quando proprio Charlie Hebdo procedette, nel 2008, al licenziamento di Maurice Sinet (oggi 86 anni) a seguito di una vignetta che satireggiava il matrimonio del figlio dell’allora presidente Sarkozy come una questione di denaro. Non sembra nulla di esagerato (rispetto a rapporti sessuali di divinità), eppure alle sue mancate scuse fu licenziato. Tutto ciò è ovviamente ignorato, e la rivista Charlie Hebdo è diventata il totem satirico per eccellenza e tutti noi le abbiamo voluto sempre bene (si badi bene: alla rivista, non alla satira), così tanto bene che abbiamo permesso che Daniele Luttazzi, il miglior comico satirico italiano fosse ostracizzato da tutti i palcoscenici televisivi della nazione.
Dalle reazioni delle persone passiamo a quelle politiche, che non sono da meno se si vuole sguazzare nella contraddizione più agghiacciante. D’improvviso ci siamo scoperti tutti francesi! Ma quasi nessuno s’è accorto di avere qualche cellula cinese in seguito ai vari attentati nello Xinjiang (ben più di uno, ogni volta con decine di morti), o russa quando ci sono stati diversi attacchi terroristici a Volgograd (Stalingrado fino al 1961); nessuno si è sentito mai siriano per le decine di migliaia di morti ed ovviamente nessuno libico, serbo, messicano o novo Russo.
A prendere per buona la posticcia divisione del mondo di cui sopra si capisce perché si può essere francesi e non cinesi o siriani: i francesi sono, insieme a noi, nella parte buona; gli altri sono al di là, diversi barbari ed inferiori (sottolineo ancora che una tale differenziazione è assolutamente infondata, oltre che intimamente razzista).
Nonostante ciò lo sveglio Occidente non è arrivato a prevedere il prevedibile. Più volte il presidente siriano Bashar al-Assad e quello russo Vladimir Putin - ai quali almeno su questo punto non si può recriminare nulla essendo il primo impegnato in un’autentica guerra contro decine di migliaia di guerriglieri armati che percorrono in lungo e in largo la Siria, mentre il secondo è da quindici anni alle prese contro folti gruppi di cosiddetti “separatisti” ceceni (basti pensare che la maggioranza di cittadini non arabi che ha ingrossato le file dell’ISIS proviene dalla Cecenia) – hanno messo in guardia dalle conseguenze dell’appoggio, di qualsiasi natura esso sia, dato ai terroristi in Medio Oriente. Sfortunatamente per loro, i due presidenti vivono nella parte sbagliata del mondo, e dunque non possono avere ragione in nessun caso. La stessa sfortuna coglie questi stessi gruppi armati qualora scelgano di operare in uno dei paesi facenti parti della lista giusta. Subito da combattenti per la libertà e l’indipendenza diventano estremisti, fanatici, criminali.
Ed arriviamo ora ad una vicenda prettamente italiana, il rapimento di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo avvenuto in Siria in circostanze poche chiare. Studentesse alla Statale di Milano, fondano un progetto con una terza persona e partono verso la Siria, in cui entrano illegalmente, per aiutare la popolazione a resistere contro il presidente Assad e sostenere gli oppositori del governo, finendo poi rapite ed, in seguito, forse dopo uno scambio, essere riscattate dal governo italiano.
Inutile sottolineare che quel denaro, nelle mani di criminali, servirà solo a creare altro orrore, altre morti. “Non trattiamo coi terroristi”, bello slogan finché resta tale (come la difesa della satira). Non bisognava fare niente? Assolutamente no. Si sarebbe dovuto trattare con il legittimo governo (anch’esso, e più di tutti al mondo, impegnato a combattere il terrorismo), preferibilmente per una operazione di forze congiunte, per poterle liberare. Perché cedere proprio stavolta e non in tanti altri casi? E perché questa enfasi mediatica che ha dello stomachevole, quantomeno evitata nel caso del riscatto di Mario Belluomo nel febbraio 2013, che si trovava in Siria, non dopo aver illegalmente attraversato il confine, ma per dignitose questioni lavorative (quel lavoro, ormai, ad ogni occasione sempre più disprezzato)?
Semplice: stavolta le conseguenze non ricadranno sull’Italia (a parte i soldi spesi, quelli che non ci sono mai per non far chiudere gli ospedali, per la scuola e per i servizi di tutela), ma su sconosciuti siriani e solo alla lontana, forse, su qualche occidentale.
Se quest’ultima eventualità dovesse divenire realtà, la marcetta la Parigi per Charlie Hebdo, quella dei presidenti per capirci, offre un’idea della reazione che unirebbe nel dolore decine di paesi; in caso contrario non sarà successo niente. Come non è mai successo niente di reale se non l’abbia prima affermato la finzione (e questo è il caso della marcia più grande ma egualmente profondamente ipocrita).