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Chato

Creato il 06 ottobre 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

 

Chato

 

Perdendo tempo davanti al computer, nel bel mezzo di un pigro pomeriggio domenicale, incappo in una vecchia, avvelenata recensione apparsa sul New York Times l’8 Giugno del 1972. La firma a fondo pagina è quella di Vincent Canby, che da lì a poco scoprirò essere stato il “chief film critic” della nota testata americana, nonché influente critico di punta di quegli anni. Nell’articolo in questione l’affilata penna di Canby, tra l’altro famoso per aver stroncato film come Lo Squalo, L’Esorcista e Guerre Stellari, se la prende con un improbabile double bill proiettato in una delle numerose sale della grande mela. La maggior parte dell’articolo riguarda il primo film proiettato, La Mortadella di Monicelli, commedia con la Loren prodotta dall’allora compagno Ponti. Al secondo titolo, quello che riguarda questa rubrica, vengono invece dedicate poche righe:“Chato è un lungo western idiota sulla vendetta che vede un branco all’inseguimento di un mezzo indiano di nome Chato (Charles Bronson) responsabile di aver ucciso uno sceriffo per averlo insultato chiamandolo un “negro pellerossa”. Diretto da Micheal Winner nel meraviglioso panorama dell’Almeria in Spagna. Praticamente tutti vengono sparati o accoltellati in un tripudio di violenza, addirittura Chato finisce per uccidere un uomo scudisciandolo con un serpente a sonagli.”

L’unico trait d’union che può aver spinto i gestori dell’ignoto cinema newyorkese ad accoppiare questi due film è il fatto che il primo è una produzione italiana ambientata negli Stati Uniti, mentre la pellicola di Winner, produzione americana, è stata girata in Europa e si rifà smaccatamente al western tricolore. Se nelle opere di Brooks e Nelson l’influenza dello spaghetti è più velato ed ha a che fare con lo stravolgimento dell’eroe e una visione iperrealista della violenza, nel caso di Chato tutto è ben esplicito, non a caso lo si può trovare nel completo quanto confuso Dizionario del Western all’Italiana.

Marco Giusti, con quello stile disorientato e collagistico che lo contraddistingue, scrive: “Western dell’inglese tuttofare Micheal Winner, non sempre adatto ai temi trattati, girato in Spagna: Charles Bronson è notevole come Chato, indiano di poche parole. […] Quando gli inseguitori violenteranno la sua donna, Chato è pronto alla sua vendetta. Buon cast americano, gran ritmo e violenza eccessiva”.

La trama come si può intuire dai sunti di Canby e Giusti è secca, volutamente denudata di qualsiasi subplot possibile, ma non priva di un forte sottotesto che è già intuibile dal titolo originale, Chato’s Land, solo all’apparenza simile a quello italiano. Il nostro titolo è un nome: la storia di un uomo. In quello originale l’enfasi non è sull’indiano maltrattato ma sul suo territorio: protagonista è la terra di Chato. Una landa spietata, arida e crudele, ma mai quanto gli uomini bianchi che la calpestano, la violano e la macchiano di sangue.

Sulla splendida locandina originale capeggiava la seguente tagline: “What Chato’s Land doesn’t kill. Chato will.” Un terreno su cui una guerra può essere solo vinta da chi l’ama e la conosce. Un indiano, un vietcong. Il finale che vede il protagonista osservare a cavallo l’ultimo yankee contorcersi sotto il sole, mentre dall’alto la macchina da presa si sposta e mostra il deserto che si srotola dinanzi alla scena, è esplicativa del messaggio idealista del film. La sceneggiatura è di Gerald Wilson, fidata penna di Winner, con cui lavorò cinque volte, dal ’71 al ’79. Il cast include un gran numero di ottimi caratteristi, molti dei quali noti soprattutto nel western: Jack Palance, Simon Oakland, il grande James Whitmore e Richard Jordan. Sul film lavorò anche un giovane John Landis, non nei panni di stuntman come molti credono, ruolo che aveva ricoperto più volte in precedenza, ma come assistente di produzione. Di recente il regista americano ha ricambiato il favore regalando a Winner un cameo nel suo ultimo film, Burke and Hare.

Che sul piano contenutistico i film dell’autore de Il Giustiziere della Notte siano nel migliore dei casi semplici allo stremo, per non dire poveri, è risaputo. Ma quel che è interessante notare è che se la semplicità, o, diciamolo, povertà, dell’approccio di Winner, da una parte non tira fuori tutto il potenziale narrativo della storia, dall’altra, mette Bronson (i due hanno lavorato insieme sei volte) ancora più in risalto. Winner più di altri registi, a lui superiori, ha aiutato l’attore a diventare una star, una leggenda. Chato, Paul Kersey, Arthur Bishop. Il racconto passa attraverso la sua fisicità: la sua presenza, i segni sul suo volto dalle mille etnie, le rughe, il fisico scolpito e infine il suo sguardo stanco, pieno di rabbia e malinconia.

Eugenio Ercolani

 

Chato
Scritto da il ott 6 2011. Registrato sotto DUST, RUBRICHE, TAXI DRIVERS CONSIGLIA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione


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