Non sono mai stata una di quelle che non va a dormire la sera prima di aver scritto dieci, venti, cento pagine. Mi sveglio la mattina e so che voglio tenere una penna in mano o le dita sulla tastiera del pc, ma senza una direzione precisa: scrivo per questo blog, per il tumblelog, per Blogosfere, per Sul Romanzo, per un progetto che sto completando, e ora anche per il romanzo.
Ormai è quasi un mese che questa avventura è iniziata. Mi sto imponendo, al ritmo di tre cartelle a settimana e con il sostegno di una compagna d'avventura che forma il mio gruppetto a distanza, di mettere su carta un sogno che ho tenuto dentro per tanti anni. Un sogno che è partito dal luogo nella foto, dal Pompidou, un posto che mi fa pensare che dovrò tornare a Parigi e rivederla con una consapevolezza nuova, così' come molti altri posti.
La mia storia parla di un incontro che parte dal Pompidou e si allunga nelle strade di una città che da quel momento diventa anonima, cornice di tante parole, tanti sguardi, di due vite paralizzate per troppo tempo e che devono cambiare. Oppure soccombere.
Per chi la sto scrivendo? Per me stessa, per vederla pubblicata, per caricarla su Issuu piuttosto che infognarmi in un POD, per che cosa? Non ho ancora risposto a questa domanda, e credo sia per questo che - nella top five di ciò che mi viene d'impulso di scrivere - il romanzo ancora non prende quota. Ma esiste una risposta? Si deve per forza scrivere per qualcosa o per qualcuno?
Magazine Talenti
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