Ci sono giorni che dimentichiamo di aver vissuto.
Occhi senza sguardo
niente mani su questa pelle
nuda sotto le maschere dei vestiti,
l'orizzonte chiuso da un cerchia di mura
come una gabbia.
Solo fame e sete da placare
e sordi tonfi verbali, ovvero
parole che non ricorderemo di aver pronunciate.
Qual è il senso di questi giorni?
Perché esserci, e voler essere altrove?
Perché differire i desideri?
Perché attendere, e che cosa?
Meglio vivere adesso,
proprio oltre quella porta,
spalancare tutte le fineste,
saltare, correre via,
cantare con voce intonata, inventando tutte le note,
correre via nell'erba, a stracciare i vestiti,
a sentire la pelle di nuovo nostra,
a ridere esserci sorridere.
Quel che avremo sarà questo sorriso,
come antidoto all'oblio
perché il futuro, senza quel sorriso,
sarebbe soltanto il presente
che si è dimenticato di sè.