Da qualche settimana le pagine culturali dei giornali sono decorate di titoli come “Il ritorno al pensiero forte”, “Addio Postmoderno” e quant'altro. Ma la gente comune si chiederà: Che diamine è questo postmoderno che dichiarano spacciato? E' soltanto una faccenda per filosofi? "Ci dobbiamo preoccupare"? Facciamo un po' di chiarezza su The Art of Hunger, mentre troppe pecore ballano e qualche professore ha già prenotato il biglietto per la mostra al Victoria & Albert Museum che dovrebbe sancire, come scrive tale Edward Docx su Repubblica, la scomparsa del postmoderno. E mentre le critiche non si fanno attendere sul web, come in questo articolo apparso su Paperblog. Prendiamo come punto di partenza l'articolo di Maurizio Ferraris pubblicato in data 8/07/11 su Repubblica. Un articolo autorevole, scritto da uno dei maggiori studiosi italiani del postmoderno, al quale dobbiamo diversi saggi sull'argomento oltre ad un monumentale studio sulla percezione intitolato Estetica razionale (Raffaello Cortina editore). Ferraris sostiene nel suo articolo che dobbiamo riabilitare un approccio “realista” ai problemi, non soltanto filosofici, poiché sono finiti i tempi in cui si poteva mettere in discussione la “realtà” come è stato fatto a partire dal Sessantotto e oltre, secondo il noto slogan “non esistono fatti, ma soltanto interpretazioni” attribuito, come si sa, a Nietzsche. Questo motto è stato la bandiera del postmoderno, in quanto essere “postmoderni” implica lo scetticismo e il disincanto nei confronti dei discorsi che si spacciano per “realistici”, portatori di verità o di valori assoluti. Si trattava di criticare il modernismo proprio perché spinge la gente a pensare e a vivere in modo “quadrato”, ideologico, prestando interesse soltanto al rendimento e all'efficacia di un sistema logorante quanto illusorio (la Cina o l'India attuali, per intenderci, si trovano in piena fase modernista). Bisogna anche sottolineare che il termine "postmoderno" non è di origine esclusivamente filosofica, bensì architettonica e risale agli Settanta quanto al dibattito effettivo, e copre un'ampia sfera di attività umane dall'arte alla filosofia, dalla politica ai mass media. Insomma, un concetto cruciale quanto vago proprio perché diventato quasi universale nella società della comunicazione. Adesso, scrive Ferraris, dobbiamo ammettere che “a far scricchiolare le certezze dei postmoderni ha contribuito in primo luogo la politica”, ovvero i “populismi mediatici”, le ideologie imperiali (Bush, Berlusconi, Sarkozy) e una generale incapacità dei governi a far valere proprio la nozione di verità. Secondo Ferraris questi fatti dimostrerebbero che il significato della frase di Nietzsche diventa piuttosto: “La ragione del più forte è sempre la migliore” (cito dall'articolo). Il postmodernismo è un atteggiamento mentale ormai defunto perché inadatto alla situazione che ci circonda, in poche parole. A questo punto pero' entra in gioco un altro slogan: il New Realism, da contrapporre alla deriva postmoderna che avrebbe provocato questa malaria mentale e sociale. Fermiamoci un attimo, prima di dire che Ferraris ha assolutamente ragione. Questo non è un dibattito televisivo, possiamo riflettere con calma. Per dirla scherzosamente, con Gillo Dorfles, si tratta di fatti o fattoidi? Verità o mistificazione? Attenzione, allora, a come il discorso è costruito: Ferraris identifica il postmodernismo con il populismo mediatico e con nient'altro. Elude tutto quello che non gli serve, a cominciare dai suoi compagni di strada (Lyotard, Deleuze, Foucault, Derrida, Vattimo, ma anche movimenti sociali come il femminismo che deve molto al postmoderno, come vedremo) per portare acqua al mulino di un Realismo (notare le maiuscole) che profuma di liquidazione affrettata. Il “dibattito” con Vattimo che ne è seguito, va da sé, resta fantomatico perché in gioco ci sono cose che i lettori non sono in grado di vedere. Come spesso avviene sui nostri giornali, d'altra parte. Possiamo dimostrare, per esempio, che Ferraris interpreta il postmoderno come gli conviene e in modo parziale, per non dire mistificatorio: basta non rinunciare al nostro diritto all'informazione culturale e aprire un libro intitolato Il postmoderno di Gaetano Chiurazzi, guarda caso un allievo di Vattimo (ed. Mondadori, 2002). Ecco che il panorama cambia: Chiurazzi descrive, con chiarezza, le virtù del postmodernismo. Virtù? Come, il postmoderno avrebbe un'etica? Ma non si parlava di liquidare il postmoderno come si fa con il berlusconismo? Lo so che siete curiosi, anzi impazienti, ma lo scoprirete nel prossimo...post. Scusate, nel prossimo articolo :-)