Che cos’è la socioanalisi e cosa studia

Creato il 16 novembre 2010 da Bruno Corino @CorinoBruno


Digitando su Google la voce “socioanalisi”, si trovano queste informazioni: ad usare per primo il termine social analys è stato lo psicoanalista canadese Elliott Jacques, allievo e collaboratore di Melanie Klein. Jacques ha definito quale social therapy il significato dell’operazione di trasferimento della teoria e della tecnica kleiniana dall’ambito terapeutico a quello della diagnosi e dell’intervento nelle organizzazioni sociali (scuole, ospedali, fabbriche). In Italia è stato, invece, un allievo di Franco Fornari, Luigi (Gino) Pagliarani ad introdurre e diffondere il termine, aggiungendovi il prefisso “psico”. Pagliarani, integrando gli aspetti “clinici” (psico) con quelli organizzativi (sociali), ha un approccio clinico allo sviluppo organizzativo. Inoltre, ho trovato che Giampaolo Catelli ha pubblicato nel 1989 per la Franco Angeli un saggio dal titolo Socioanalisi. Sociologia dei comportamenti latenti delle comunità. Nella presentazione al testo si legge con una certa enfasi, credo del tutto sproporzionata rispetto ai risultati, che non mi pare abbiano avuto un grande seguito: «La violenza di oggi, la diffusione della droga, il suicidio, trovano spiegazione nella struttura nascosta della società contemporanea. La socioanalisi scoperchia questo mondo sconosciuto, indaga nelle grandi malattie del nostro secolo, sepolte nell’inconscio collettivo. Si tratta in assoluto di un nuovo indirizzo di studio, di una rivoluzione nel campo delle scienze sociali. Attraverso gli studi presentati (…) viene esposta una teoria che da un lato apre il sipario sul mondo latente che condiziona il nostro vivere quotidiano sociale, dall’altro per la prima volta viene illustrato uno strumento di rilevazione, una (sonda) che, entrando nella psiche collettiva, illumina le ombre e gli aspetti costitutivi e diversi di ogni società».

Da parte mia già avuto modo di ricordare d’aver mutuato il termine “socioanalisi” da Heilbroner, il quale aveva nel suo saggio instaurato un’analogia tra l’indagine storica compiuta da Marx e quella psichica di Freud, scrivendo che il contributo di Marx, «per tanti versi parallelo a quelli di Platone e Freud, è consistito nella scoperta di un livello insospettato della realtà al di sotto della superficie della storia». L’analogia tra Marx e Freud nelle sue parole si riduceva al fatto che entrambi avevano reso manifesta la struttura latente del proprio oggetto di indagine: la vita psichica per Freud e la realtà storico-sociale per Marx. In questo senso, il termine “socioanalisi” equivaleva in Heilbroner alla possibilità di condurre un’analisi profonda dei meccanismi nascosti che regolano il funzionamento della società moderna. In altri termini, Heilbroner affermava semplicemente che Marx ha avuto il merito di portare in superficie ciò che nel sistema capitalistico rimaneva nascosto, operazione analoga a quella compiuta da Freud nel campo della psiche. Ma al di là di della dicotomia “manifesto/latente”, non mi pare che lo stesso Heilbroner abbia fornito altri strumenti di analisi tali da configurare un nuovo metodo di indagine della realtà storico-sociale. Possiamo concludere dicendo che ciò che accomunava Marx e Freud era soltanto un analogo tipo di approccio, mirato ad oggetti di analisi diversi, volto ad indagare le rispettive strutture latenti, senza però che si procedesse ad un superiore livello di osservazione. Il freudo-marxismo dei filosofi della Scuola di Francoforte è stato per alcuni versi forse il tentativo meglio riuscito di compiere una sintesi in tal senso. Infatti, i teorici francofortesi hanno ripreso alcuni strumenti di analisi freudiana, quali il concetto di “libido”, la “ricerca del piacere”, il termine “repressione delle pulsioni” per analizzare la società industriale capitalistica e comprendere le ragioni che inducono gli uomini a rinunciare al loro “istinto alla felicità” in cambio di una maggiore sicurezza sociale. Non a caso il loro studio sulla personalità autoritaria e i meccanismi di introiezione dell’autorità rimane un classico degli studi sociologici.

Nella mia prospettiva, il termine “socioanalisi” vuole assumere ben altri connotati. Anzitutto, non ha nulla a che vedere né con l’approccio di Jacques né con quello di Pagliarani, in quanto non prende affatto in esame la “psiche” organizzativa, meno che mai quella sociale. Allo stesso è ben distante dall’approccio di Catelli, che come sembra evidente si tratta di un’estensione dei meccanismi psichici dell’individuo al gruppo o ai gruppi sociali. Una tale idea, comunque la si sviluppi, rimanda necessariamente alla nozione di “inconscio collettivo” (non a caso nella presentazione al testo il termine “collettivo viene ripetuto ben due volte) e quindi si basa sul concetto di archetipo, risolvendo la socioanalisi in una estensione tecnica della psicoanalisi che passi dall’inconscio individuale a quello collettivo. Praticamente, si esce dalla psicoanalisi freudiana per entrare nella psicologia di stampo junghiano. Lo scopo della mia ricerca, invece, è individuare e “storicizzare” i meccanismi “latenti” dei sistemi di relazione, senza tuttavia ricondurre tali meccanismi ai processi psichici. In altri termini, la struttura latente del sistema sociale non è affatto simile alla psiche umana: l’inconscio sociale non è la somma o la moltiplicazione dell’inconscio individuale. Da questo punto di vista esistono tentativi di annettere la nozione di inconscio alla ricerca proprio dello storico. Penso ad esempio a Peter Gay che in Storia e psicoanalisi ha parlato di psicostoria. Si tratta del tentativo di allargare l’angolo visuale dello storico mutando metodi e strumenti da altre discipline, quali la filosofia, l’antropologia, la sociologia, e, perché no?, la stessa psicoanalisi. Ma la sua idea di utilizzare la psicoanalisi nella ricerca storiografica s’inscrive in quel progetto di “storia globale” auspicato a suo tempo da March Bloch.

D’altra non la socioanalisi si vuole neanche essere una sorta di “psicologia del profondo” del sociale, come l’hanno intesa a loro tempo i teorici della Scuola di Francoforte. Il sistema di relazione è un modello puramente concettuale, mediante il quale si analizza la storia empirica. Nella mia prospettiva, attraverso la “socioanalisi”mi propongo di indagare i meccanismi sociali di dominio che un sistema di relazione pone in atto al fine di autoriprodursi. Il metodo d’indagine si propone di far emergere una struttura latente che agisce in profondità nella storia empirica. Per fare un esempio, come il chimico analizza la struttura della materia configurando quella molecolare, così si comporta il socioanalista: cioè analizza la struttura sociale di cui la stessa struttura fattuale della storia è composta. Si tratta dunque di una struttura latente in quanto “ignota” ai suoi stessi attori, ma allo stesso tempo non è una struttura che agisce al di là delle loro intenzioni; anzi, potrei dire che le loro stesse intenzioni siano intessute di questa struttura. Ecco perché il mio metodo d’indagine non rimanda mai ad essenze ontologiche che possano tradursi in una sorta di teoria metafisica della storia. Nell’osservazione di un qualsiasi fenomeno o comportamento sociale non ci sono date due realtà opposte, la prima delle quali viene posta sul piano del visibile o dell’apparenza e la seconda su quello dell’invisibile o dell’essenza, realtà che la teoria (il concetto) dovrebbe conciliare nelle loro intrinseche contraddizioni. Siamo, come s’intuisce, al di là della logica hegeliana. L’essere latente di questa realtà non vuol dire che si ponga su un livello altro di realtà, che come un burattinaio invisibile muove i fili dei protagonisti.

Un programma socioanalitico per operare in modo autonomo dev’essere in grado di elaborare propri strumenti d’analisi che non siano la mera ripetizione o riproposizione di concetti ripresi di peso da altri ambiti disciplinari. Uno degli errori metodologici consiste proprio nel presupporre che esista una “psiche” sociale che abbia le stesse caratteristiche di quella individuale, ma riprodotta su scala più vasta. Come se si trattasse appunto di far stendere sul lettino dell’analista l’intera società al fine di asco latere i suoi sogni, i suoi traumi, incubi o desideri. Al contempo elaborare propri strumenti d’indagine non vuol dire inventare dal nulla concetti originali e utilizzarli poi a proprio piacere. Ogni concetto deve rispondere alla logica d’indagine: la logica dell’indagine dei sistemi sociali di relazione è completamente altra da quella del sistema psichico di relazione. Anche se si possano stabilire delle analogie, le due logiche non devono essere assolutamente confuse o sovrapposte. Possiamo analogicamente stabilire un rapporto tra l’Inconscio e il Conscio individuale o sistemico: nel senso l’individuo può essere analizzato da un duplice punto di vista – cioè da quello degli suoi atti di coscienza morale, politica, ideologica, e da quello delle istanze rimosse – così anche il sistema sociale nel suo complesso si offre a questa duplice interpretazione: possiamo analizzarlo attraverso documenti, dati statistici, testimonianze, ecc., oppure attraverso i meccanismi rimossi del sociale. Ma l’analogia si ferma qui, la spiegazione dell’“inconscio” del sistema sociale non è affatto identica a quella del singolo individuo: la differenza consiste proprio in ciò.

Per comprendere sia gli elementi diacronici della storia che quelli sincronici la nostra teoria si confronta, oltre che con le teorie sociologiche, soprattutto con gli storici, i quali, al contrario degli scienziati sociali, per il loro mestiere sono portati a misurarsi e a capire i cambiamenti che avvengono all’interno della società. La socioanalisi pertanto non è un’interpretazione psicologistica della società o della storia, non è configurabile neanche come una sostituzione dell’inconscio collettivo all’inconscio individuale. Ogni sistema sociale ha sì meccanismi inconsci o latenti, ma rispondono a logiche completamente diverse da quelli della psiche umana. Mi pare che evidente la differenza sostanziale che divide il mio approccio alla socioanalisi a tutte le altre forme analoghe. 


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