Dev’essere quello strano torpore che genera l’intimità tra due persone della nostra specie a far sì che, quando nella vita succedono quelle cose per cui uno va da una parte e l’altro va dall’altra, subentra l’imbarazzo di lasciare incustodito uno spazio che una volta, magari anche solo per pochi istanti, è stato comune. Lasciate perdere Google Maps. Mi riferisco a un luogo metafisico, che è quello in cui ci si scambiano cose come le secrezioni dei propri corpi ma anche come gli scontrini di brunch consumati insieme sui tavolini di trattorie del lungomare ai primi bagliori primaverili, in veste di turisti del weekend venuti da lontano ad anticipare i mesi caldi, sotto gli sguardi sorpresi degli autoctoni che vivono ancora la diffidenza della stagione precedente certi che darà ancora filo da torcere. Prima delle pareti in muratura, che solo i più fortunati riescono ad aggiudicarsi con anni di mutui e finanziamenti, ci sono questi ambienti più provvisori del cartongesso dove però nessuno vieta di sistemare la proprie cose a disposizione di una speranza di vita insieme. Ma sbagliate a pensare che sia altrettanto facile sgomberarli come gli ultimi giorni di un temporary store, quando non si bada nemmeno più a chi entra e chi esce e con che cosa sottobraccio. Probabilmente quello che ci resta appiccicato delle persone con cui ci mettiamo comodi, anche solo qualche minuto in questa profondità ignota, è un residuo della stessa materia con cui un tempo i nostri predecessori si inventavano le cosmogonie, e che non ha nulla in comune con la mera divisione della scorta di prove della volontà di un progetto condiviso che si accumulano con il tempo. Le tendine a vetro del bagno cucite da una suocera esperta, i prodotti dell’industria culturale scelti oculatamente per rientrare nel budget del buono della Feltrinelli ottenuto come regalo aziendale per un Natale appena trascorso, le guide di viaggio in paesi poco distanti dal proprio, effimere quanto i postumi di una nevicata fuori stagione, in una geografia di un mondo che, con il suo vortice rotatorio, non lascia nulla per definito e tanto meno eterno. Poi un giorno magari ci si trova allo stesso tavolo, anche dopo poco tempo, ma con nuovi co-inquilini della propria anima o come preferite chiamarla, in momenti in cui non sono certo che tutti siano in grado di provare che non c’è nemmeno una particella di sé rimasta da riprendersi, custodita in qualche punto lì nei dintorni.
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