Che cosa ci fa un morto nell’ascensore?

Creato il 13 settembre 2014 da Annalina55

Che cosa ci fa un morto dell’ascensore?, una raccolta di cinque racconti brevi  è l’unico libro pubblicato in Italia dallo scrittore sudcoreano Kim Young Ha.
A una prima occhiata questi sembrerebbero scollegati fra loro, poiché le trame non si incrociano durante il tempo narrativo. Tuttavia, se ci fermiamo a riflettere, il vero filo conduttore di questo libro può essere rintracciato nella solitudine, una solitudine che va di pari passo al progresso tecnologico.

Sullo sfondo di una ipertecnologica Seul si dispiegano i destini di cinque personaggi, frutto dell’abbagliante abilità narrativa di Kim Yung-Ha, giovane capofila di una nuova generazione di autori della Corea del Sud, ancora sconosciuti in Italia ma già molto apprezzati soprattutto negli Stati Uniti. Kim Yung-ha (1968) inizia a scrivere i suoi racconti su Internet e nel 1995 pubblica il primo romanzo breve, con cui vince il premio letterario come migliore “Giovane scrittore”. Si tratta senza dubbio di un intellettuale versatile e poliedrico, infatti non solo si è laureato in Economia e Commercio all’Università di Yonsei a Seul ma ha fatto anche il DJ e l’attore. L’eclettismo dell’autore sud coreano confluisce nella sua scrittura e nello sviluppo di trame che si distinguono nel panorama letterario contemporaneo.

Ciascuno dei protagonisti dei cinque racconti della raccolta in Che Cosa ci fa un Morto nell’Ascensore? è inserito in vicende completamente surreali; le storie stesse sono tutte narrate al presente, poiché non esiste un passato da ricordare e neppure un futuro da immaginare, ma solo un’eterna contemporaneità, che opera come potente sedativo verso ogni possibile slancio emotivo. I personaggi si muovono così come automi inconsapevoli immersi in un’atmosfera che evoca Lost in Translation, ma con una drammaticità che deve molto al cinema di Kieslowski. Nonostante siano concepite secondo una struttura circolare, le storie hanno un finale aperto, poiché suggeriscono una chiusura solo apparente su vicende prive di senso. I protagonisti sembrano vivere in camere insonorizzate, in cui solo di tanto in tanto giungono i rumori della modernità, che contribuiscono ad evidenziare ulteriormente la loro solitudine drammatica. Il gioco, sessuale o dinanzi al monitor di un computer, resta così l’unica dimensione con cui affrontare il quotidiano. La realtà scivola allora in secondo piano, tanto che la presenza di un corpo incastrato in un ascensore non suscita alcuna inquietudine nei condomini. Il giovane autore coreano, con una scrittura efficace e al tempo stesso disarmante, elabora in chiave moderna il paradosso di chi, illudendosi di essere immortale, vive una vita di eccessi, ma lo fa nella più totale noia. Yung-Ha possiede la rara capacità di drammatizzare, piuttosto che raccontare semplicemente, le vicende che sceglie come emblematiche ed esemplificative, riuscendo a fondere insieme, con sorprendenti risultati, cinismo e leggerezza. Ecco che, in un mondo così lontano, la Corea del Sud, si ripete quella che in tutta evidenza è la conseguenza normale di una civiltà ipertecnologica. Nonostante tutto sia cemento e tecnologia, grigio e assordante, al di fuori resta un nucleo di impotenza dinanzi al delirio dell’umanità. Si percepisce in filigrana un climax che produce un pathos distillato lentamente, sino ad una dilatazione del reale che lo traduce in un simulacro di trasparenze.

Il lettore è cullato in un limbo mobile in cui l’immaginazione va oltre lo sguardo e uno strano stato di sospensione lo avvolge nel mistero, ma paradossalmente la realtà resta salda. Gli intrecci raffinati e paradossali sono il mezzo che Yung-Ha utilizza per mescolare le carte in una società in pieno sviluppo economico, è  lucido elemento di disturbo il suo tentativo di voler lasciare un cono d’ombra tra le luci di Seoul. Inoltre egli è spregiudicato nel suo tentativo di elaborare il paradosso esistenziale dell’uomo moderno, per concludere: lo scrittore Yung-Ha è un’autentica sorpresa.


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