Che cosa sei Sanremo?

Creato il 24 marzo 2014 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

Scusate, c’è una festa là in fondo?”
“No, signora…c’è l’arrivo della Milano Sanremo”
“Ma dove?”
“A cinquecento metri”
“E quand’è che arrivano?”
In pomeriggio, verso le cinque.
Ringrazia, la signora sulla cinquantina con gli occhiali da sole, e prosegue la sua passeggiata sul lungomare.
Il cielo azzurro, limpido, l’orizzonte pulito, il mare luccicante e bianco di spuma sulla sabbia, sugli scogli. L’aria sa di iodio e le palme sono lucide di un sole inaspettato. Dall’altra parte del Turchino piove e grandina, come nelle migliori Milano-Sanremo della storia: dopo il Passo c’è la primavera. E non ci si crede che qui ci sono quindici gradi e si sta bene anche senza giacca. Non ci si crede nemmeno quando dai monti ritornano le nuvole, ritorna la pioggia anche sulla città dei fiori.

Andare a Sanremo quando c’è la classicissima di primavera è bello perché la corsa è davvero dovunque: nei bar, nella gente. La telecronaca gracchia assieme al rumore insistente della grandine che picchia sul selciato e sulle schiene dei corridori che, in quel momento, sono a Capo Mele. Le facce sono tutte rivolte in su, al televisore, qualcuno dice che se Nibali attacca ci deve andar giù pesante, deve darci la stoccata. Qualcuno guarda il giornale, contesta i pronostici.
Cavendish fa fatica, Degenkolb può tenere, Greipel c’è.
Nomi che girano assieme ai minuti, condiscono l’attesa, per coprire l’aspettativa di quell’istante che dirà tutto, il vincitore, il secondo, il terzo, l’ultimo.
Camminando verso l’arrivo non piove più, esce un bacio di sole veloce, un tempo matto, come questa corsa che non si sa mai di chi sarà, come sarà. Lo speaker urla il nome di Vincenzo Nibali e sul maxischermo c’è veramente il siciliano che esce dal gruppo. Lo scatto. E’ un attimo che fa fermare la gente che stava camminando tra le pozzanghere. Lo aspettavano tutti sul poggio, invece eccolo lì, ai piedi della Cipressa, prova ad andare via da solo. Provare. Sì, si può dire sempre tante cose: il momento, la tattica, le decisioni, le pianificazioni. E’ che i corridori come Vincenzo hanno tanto cuore nelle gambe ed è giusto così. Nel ciclismo conta l’emozione più del resto. Trenta o quaranta secondi si è preso Vincenzo eppure la sua azione tiene tutti incollati allo schermo, eppure le sue curve in discesa, dopo la cima del colle, sono perfette, ruota lucida senza paura dell’asfalto bagnato. Ma la strada per Sanremo è ancora lunga e il gruppo va a riprenderlo, lo inghiotte assieme alle speranze, lo trascina in fondo, mentre davanti cominciano gli scatti di chi non vuole arrivare in volata, a un confronto gamba a gamba.
Colbrelli!” dice uno. No, il ragazzo della Bardiani che è uscito allo scoperto è Enrico Battaglin. Di nuovo un tentativo, mentre l’arrivo si riempie di gente che aspetta e guarda. E aspetta ancora. Riassorbito anche Battaglin. Degenkolb buca, addio volata, non ci sono scuse. Tre chilometri, poi due. E l’ultimo. Sempre interminabile, accompagnato dall’immensa ola che, per una volta l’anno, un po’ come a Natale, si alza sul lungomare della Riviera.
Sanremo che cosa sei? Una corsa dell’ultimo chilometro, un fulmine a ciel sereno come certi affetti che arrivano d’improvviso e sono potenti come un grido. Arriva d’improvviso la vittoria di Alexandre Kristoff che lascia dietro le sue ruote Fabian Cancellara, attesa fervente della vigilia. Andrè Greipel si piega sulla bicicletta con una smorfia: è stanco, deluso, ha la stessa faccia di quelli che arrivano dopo, soldati zuppi che hanno conosciuto la trincea del Turchino e dei chilometri sotto l’acqua, ad assorbire il fango dell’asfalto, loro compagno, nemico e amico. Quell’acqua gocciola sulla faccia come lacrime mentre, infreddoliti, rispondono alle domande sulla gara. Cosa sei stata, Sanremo? Loro non lo sanno. Conoscono la tua fatica, i tuoi chilometri interminabili, i tuoi passaggi più duri, dove hanno sentito che le gambe urlavano e non potevano smettere. Ma non lo sanno dire, forse non adesso che vorrebbero solo una doccia calda, un i-pod nelle orecchie e la strada verso casa.

Mentre schivo le pozzanghere dove si riflette un cielo quasi azzurro dopo l’acquazzone, sento che un ragazzino chiama: Eugenio!
Eugenio Alafaci è arrivato in questo momento. Mi giro, vedo che il ragazzo chiede la borraccia, gesto consueto per chi dei suoi idoli vorrebbe tutto, anche la spilla da balia con cui attaccano il numero. Mi fermo e guardo la scena: Alafaci lo accontenta e le signore che sono attorno applaudono contente. “Bravo!” dicono. Sì, bravo, per l’umanità e la semplicità. Non lo sanno che il ciclismo è un abbraccio, un abbraccio zuppo di pioggia e di strada fatta battendo i denti. Non lo sanno che il ciclismo vive di questi gesti qui, che spiegano la sopportazione della fatica. Sciamano tutti verso i pullman, assieme ai ciclisti che arrivano ultimi e si portano ancora addosso l’acqua di ore.
Che cosa sei Sanremo? Un groviglio di cose belle che quando bisogna abbandonarle ti lascia un po’ di nostalgia. Un passaggio vivo in una terra bella, che sta ancora cicatrizzando le sue ferite. Sei un amore pieno di contrasti che si fa fatica a dimenticare. Una strada che va verso il mare.
E’ un sogno, il mare, anche adesso che si torna verso Milano e all’orizzonte c’è una carezza di sereno sotto le nuvole grigie. E’ un sogno come tutti gli altri sogni: dolorosi fino a stare male, come la grandine sulle ossa, veri come le notti passate insonni, così veri che si sopporta tutto pur di arrivare. Persino il Turchino, ultimo baluardo prima di vedere l’orizzonte da lontano.
Cosa sei Sanremo? L’insegnamento crudo che siamo tutti soldati zuppi per le cose che valgono, inseguitori sulla strada della vita alla ricerca di un orizzonte limpido. Sei la testimonianza del nostro stare in bilico, tra il grigio e il sole.
In questo sport si fa il tifo per tutti ma c’è una differenza, qualcosa di sostanziale che lega ancora di più l’umanità alla bicicletta: l’amicizia. Certe volte il cuore sceglie un corridore, forse due o anche tre e se li tiene dentro ad ogni corsa. Li sentiamo vicini, per come pedalano, per come scelgono di affrontare la strada. E’ questione di anima, anche se a volte non si vede ma, come tutte le emozioni importanti, si sente.
Mi porto via troppe cose da Sanremo questa volta. Alcune si possono dire, altre no. Rimangono nei riflessi delle mie pozzanghere interiori come piccoli laghi tranquilli dopo la tempesta. Luoghi sicuri e forse un po’ malinconici dove coltivare i sogni.




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