Prima che mi assaliate dicendo che non capisco un piffero di cinema e che The Artist è il miglior film dell’anno, vincerà una carrettata di Oscar ed è uno splendido omaggio al cinema muto, provo a spiegarmi perchè per me il film di Michel Hazanavicius è stato una delusione.
L’ho atteso con passione, affascinato dai primi trailer, convinto di vedere qualcosa di sorprendente e di veramente forte, ed invece mi sono trovato di fronte ad un buon film girato come se fossimo negli anni ’20 ma con una storia trita e ritrita.
Partiamo dalla storia, allora.
George è un super divo del cinema muto, fa decine di film, è idolatrato dalla stampa ed ha la fila di donne alla sua porta, per la gelosia della moglie.
L’arrivo del sonoro lo trova però impreparato. Si rifiuta di parlare sulla scena e viene inevitabilmente licenziato dalla sua casa di produzione: spazio ai giovani e alle novità.
Con la moglie finisce a schifio e vicino gli rimane solo la giovane Peppy, che lui stesso ha lanciato ed ora è diventata protagonista della nuova era del cinema sonoro.
Prima però che George accetti questo aiuto e cambi le proprie idee dovrà passarne parecchie.
Come vedete, la storia è quella mille volte raccontata della fine del cinema muto e della difficoltà per i divi di allora ad innovarsi (meglio di tutti lo fece Billy Wilder con Sunset Boulevard).
E passiamo invece alla parte tecnica e stilistica di The Artist.
Hazanavicius decide di girare il film come se fosse un muto degli anni ’20, quindi in bianco e nero, senza dialoghi, senza rumori, con pochi cartelli scritti, gli attori che esagerano i movimenti e le espressioni del volto, e naturalmente con attenzione alle musiche di accompagnamento.
Il tutto è ben fatto, funzionale, ci sono anche i titoli di testa traballanti, ma non è altro che una tecnica come un’altra, un omagggio al muto che fa molta scena ma che da solo non può bastare.
Ed è un peccato perchè in alcuni momenti sembra che The Artist possa avere davvero qualcosa in più.
Il momento clou è l’arrivo del sonoro con lo splendido sogno di George in cui arrivano i rumori nella sua vita ma lui si ritrova senza voce.
In questo momento potrebbe succedere qualcosa e cambiare registro. Si potrebbe continuare con il giochino del sonoro che arriva nella vita reale come al cinema e mantenere muto solo il protagonista che si rifiuta di interpretare ruoli in film sonori.
Ed invece nulla di tutto ciò, solo un incubo di pochi minuti e poi si torna allo stile di tutto il film, fino alla liberazione finale di George che ridà voce a lui e rumori al film e (mi permetterete) conferma la mia idea.
Insomma un’occasione sprecata, cui Hazanavicius somma anche le imbarazzanti scelte di far parlare il protagonista (bravo comunque Jean Dujardin) con la sua ombra e con i personaggi da lui interpretati.
Meglio di tutti mi sembra ne esca Bérénice Bejo che risulta estremamente affascinante.
Limo un po’ sul finale: non stiamo parlando di un film brutto, ma di un buon film su cui io personalmente avevo grandi aspettative e che invece mi ha deluso.