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Forse sarà per il fatto che a me il teatro piace a prescindere.
Che già il gesto scenico, l'affabulazione, o più semplicemente il racconto fatto davanti a chi è lì per ascoltare, è per me sufficiente a catturare la mia attenzione.
Così, alla fine di uno spettacolo, prima ancora di chiedermi il significato, il messaggio contenuto da ciò che ho appena visto, anche ancor prima di chiedermi se mi è piaciuto o meno, mi metto a raccogliere le sensazioni provate durante lo spettacolo. Prima di fare una sintesi mi dedico a cercare le cose che mi hanno colpito.
Come faccio sulla spiaggia quando mi metto a raccogliere i sassi o le conchiglie più colorate o particolari. Per la mia semplice soddisfazione, per il mio catalogo di emozioni.
Ecco, lo spettacolo che ho visto questa sera, al teatro di Quaranthana, in Corazzano, si prestava proprio bene a questo mio gioco.
Mentre gli attori giocavano a rendere il loro spettacolo un vero "disastro", soprattutto dal punto di vista della trama e del coinvolgimento dello spettatore dal punto vista narrativo, io mi sono divertito a raccogliere espressioni, movimenti scenici, battute, immagini, che magari, come peraltro nello spettacolo stesso, potevano non avere nessun collegamento tra loro, ma che però potevano essere parti di un campionario di emozioni, o più semplicemente elementi d'interesse, un po' come gli appunti che si prendono durante una lezione o una riunione di lavoro.
Brevi frasi con la pretesa di raccogliere concetti.
Poi magari scopro che quei "disastri" non si susseguono a caso. Che poi in realtà sono frutto di un genio dell'arte della parola e dell'affabulazione, esponente del novecento russo, Daniil "Charms" Ivanovic Juvacev.
Così “Disastri” ha l'impostazione di uno spettacolo a quadri, senza nessun collegamento narrativo, tanto da risultare assolutamente inconcludente.
Tanto da apparire proprio come il report di una lunga riunione dove si è parlato di troppi argomenti, magari anche troppo diversi tra loro, dove si è mischiato lavoro e chiacchiere da bar, scritto poi con troppa svogliatezza, ricamando appena un po' di prosa attorno alle sintetiche frasi raccolte qua e là durante la discussione.
Così non si fanno interpolazioni intellettuali, né riflessioni sul momento storico che ruota attorno alla discussione, ma ci si ferma ad un racconto sintetico, spesso anche solo mimato, di situazioni che arrivano ad apparire anche come solo immaginarie.
Per finire, rafforzando la metafora del report della lunga riunione di lavoro, con quelle che potevano essere le più sintetiche, di più basso stile e dissacratorie, conclusioni del redattore, ecco che, di fronte all'inconsistenza di tutto quello che è stato detto, affermato e dibattuto, ci si tira giù i calzoni e si mostra il posteriore.
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