Che fine ha fatto il lavoro? Qualcuno ne ha sentito parlare ultimamente? In tv? Sui giornali? Che fine hanno fatto i mille progetti, le mille vuote promesse in campagna elettorale? Il ministro Giovannini, appena nominato, aveva promesso una riforma della legge Fornero; per la verità, aveva parlato di semplici correzioni, ma non si sono viste nemmeno quelle.
Uno solo è stato, alla fine della fiera, l'intervento di Letta & Co. nel settore: gli incentivi per le assunzioni. Come è andata? Male, un mezzo flop, come dimostrano i dati: quasi 14 mila domande per accedere agli sgravi fiscali, messi a disposizione dal governo, ma, di queste, solo 2400 per contratti a tempo indeterminato (dati Inps). Un risultato ben misero, se confrontato con il tasso di disoccupazione giovanile che, invece, macina record su record.
Nel frattempo, qualche altro bel progetto originale? No, se si esclude il programma Garanzia Giovani, che, però, è farina del sacco dell'Unione Europea. Intanto, l'Italia è pronta? Assolutamente no. I punti fondamentali di questo programma, infatti, sono due: una politica di collegamento scuola-lavoro e un sistema di Centri per l'Impiego efficiente.
Per il primo punto, siamo alla desolazione totale: i ragazzi italiani, finiti gli studi, sono abbandonati a se stessi, lasciati soli nel mare magnum del precariato più spietato (tirocini e stage a prezzi di saldo, ne sono un triste esempio). Mai nessuno alla guida del Paese, negli ultimi anni, ha avuto l'idea – banale ma utilissima – di creare un ponte fra mondo della formazione e mondo del lavoro, come se fossero due realtà completamente diverse ed estranee.
Ci si affida, invece, a programmi locali, messi in campo da Enti a vario titolo: come la Regione Toscana, che ha creato la Carta Ila, una sorta di carta prepagata, da spendere in formazione professionale; o come la Città dei Mestieri di Milano, che ha organizzato 5 Job Matchpoint (fiere del lavoro, dove reclutatori aziendali e giovani possono incontrarsi direttamente), nella provincia meneghina. Un paio di esempi, per mostrare come si proceda in ordine sparso, senza alcun piano organico. Errore gravissimo: il lavoro è un problema di carattere nazionale; non si potranno ottenere risultati importanti, se non si crea, prima, una politica del lavoro nazionale.
Il secondo intoppo riguarda gli stessi Centri per l'Impiego. In Italia, annualmente, lo Stato stanzia circa 500 mln di euro per finanziarli. Una bella cifra, penserete: quattro spiccioli, invece, se si pensa che, ad esempio, la Germania stanzia 9 miliardi l'anno per i suoi uffici. Nel nostro caso, invece, lo Stato ha ampiamente abdicato in favore dei privati, cedendo il grosso della torta alle Agenzie per il lavoro.
Anche per i Centri, inoltre, con le politiche di decentramento amministrativo degli ultimi anni, si è andati in ordine sparso, a seconda delle regioni. Come, quindi, poter pensare di applicare un programma occupazionale qualunque, se ognuno fa quel che vuole? Non sarebbe più saggio creare un sistema misto, con il centro che crea delle leggi quadro ben precise e con i Centri che le applicano al territorio, a seconda delle esigenze locali?
Manca, quindi, una politica occupazionale organica per i giovani, ma non solo per loro. Anche gli over 30 sembrano scomparsi dall'agenda politica. L'ultimo tentativo di recuperare i cocci della generazione mille euro è stato l'ex premier Monti, con un programma di incentivi (anche lui, che originalità), per le assunzioni a tempo indeterminato di under 35, con risultati non dissimili da quelli ottenuti dall'attuale Governo. Intanto, i salari di quella che, dovrebbe essere la parte più attiva della forza lavoro italiana, sono in picchiata, tanto che ben il 37% non arriva a fine mese ed è costretta a ricorrere all'aiuto dei genitori (dati Coldiretti).
Tutto questo non può continuare: non si possono fare progetti solo per risolvere una parte del problema (gli under 30) e abbandonare al loro destino il resto (gli over 30), perchè lo squilibrio, in un senso o nell'altro, rischia di ribaltare il Paese e di farlo sprofondare in una situazione ben peggiore di quella attuale. Si deve tornare a parlare del lavoro, per tutti!
Danilo