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Che fine ha fatto Sardegna Quotidiano?

Creato il 29 luglio 2014 da Alessandro Zorco @alessandrozorco

È da un po’ che mi chiedo che fine ha fatto il free press Sardegna Quotidiano, nato qualche anno fa per iniziativa di alcuni colleghi reduci dal fallimento di Epolis e scomparso nel più assoluto silenzio. Nel 2011, dopo la scomparsa del quotidiano fondato da Niki Grauso e rilevato sino al fallimento dal trentino Alberto Rigotti, i miei colleghi si erano un po’ divisi. Alcuni avevano tentato la fortuna a Sardegna 24, altri si erano cimentati nella avventura con Sardegna Quotidiano. Altri ancora avevano ripreso le collaborazioni esterne con i colossi dell’editoria sarda: L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna. Altri infine avevano rinunciato del tutto a cercare un lavoro adagiandosi nella sicurezza di un magro sussidio della cassa integrazione prima e dell’indennità di disoccupazione poi. Ma che cosa è successo a Sardegna Quotidiano?

Qualcuno dei reduci di Epolis, dicevo, in quel freddo inverno del 2011, aveva bussato alla porta di Sardegna 24 (o era stato chiamato a far parte della redazione). Il giornale nato a Cagliari in piazza del Carmine, nei pressi dell’ex quartier generale di Renato Soru, sembrava dovesse inizialmente essere finanziato proprio dal patron di Tiscali, sconfitto sonoramente alle elezioni regionali di due anni prima dal commercialista Ugo Cappellacci. Diretto dal giornalista ex Unità Giovanni Maria Bellu, Sardegna 24 finì però quasi subito in cattive acque finanziarie, tanto che lo stesso Bellu con una clamorosa mossa editoriale decise (eroicamente?) di rilevarlo. Ma l’epilogo di quel quotidiano, che tra gli opinionisti schierava quasi al completo l’ex giunta Soru, era probabilmente scritto. La presenza di alcuni bravi colleghi non riuscì a togliere il velo di vecchiume da quel giornale che sembrava voler indurre la Sardegna ad un amarcord del 2004 (quando Soru diventò governatore della Sardegna). Vecchi i contenuti, vecchio lo stile. Vecchi e, se vogliamo, scontati i meccanismi che hanno portato alla repentina chiusura del quotidiano e alla nuova disoccupazione dei colleghi che con entusiasmo iniziale avevano partecipato a quel progetto.

Un po’ più frizzante e nuova pareva essere invece l’avventura di Sardegna Quotidiano. Polemista e provocatorio nelle parti politiche, che spesso e volentieri strizzavano l’occhio ad un ormai moribondo partito sardista, accattivante in quelle culturali. Aveva anche la pagina facebook, l’account Twitter (questi per la verità li aveva anche Sardegna 24) e addirittura l’app per leggerlo sull’Ipad.

Anche lì lavoravano alcuni bravi colleghi, soprattutto tra i collaboratori esterni.

La cosa più stimolante, seguendo dall’esterno la vicenda di Sardegna Quotidiano, era pensare che finalmente un giornale fosse autogestito da una cooperativa di giornalisti. Per di più giornalisti usciti con le ossa rotte dall’esperienza devastante di Epolis. C’era la certezza che persone così, in qualità di datori di lavoro, avrebbero avuto un occhio di riguardo verso i collaboratori di cui inevitabilmente si servivano e che avrebbero gestito assai oculatamente le risorse (sicuramente non abbondanti) a disposizione.
Ecco una recensione comparata dei due giornali fatta al tempo dal blog Cagliarifornia.

Sardegna Quotidiano: silenzio!

Sardegna Quotidiano
Sardegna Quotidiano, nato nel giugno 2011 pare (così per lo meno asseriva la stampa locale del tempo) con l’appoggio dell’onorevole Paolo Maninchedda – allora consigliere regionale Psd’Az e presidente della commissione Bilancio a sostegno della giunta Cappellacci di centrodestra e oggi assessore della giunta di centrosinistra guidata da Francesco Pigliaru – è durato con alterne vicende e con una lunga pausa di riflessione fino al 2013.
Poi, d’estate, è morto. Come di solito muore un giornale quotidiano (probabilmente la carta dei quotidiani free non regge la calura africana del luglio cagliaritano).

O forse non serviva più.

Ma se per la dipartita di Sardegna 24 il sindacato dei giornalisti ha forse sprecato qualche comunicato stampa di circostanza, per Sardegna Quotidiano non è proprio volata una mosca. Nessuno ha mai detto nulla. Forse perché non c’erano imprenditori cui dare contro, ma soltanto giornalisti.

Sardegna Quotidiano è morto nel più totale silenzio. Non si è mai saputo come il giornale free onorasse le sicuramente importanti spese di gestione, se abbia usufruito dei finanziamenti regionali per le cooperative editoriali messi a bando in quel periodo dalla giunta Cappellacci ed eventualmente in quale misura. Non si è saputo perché abbia smesso di pubblicare e soprattutto – come si spera – se abbia onorato i suoi debiti con i lavoratori che hanno speso sangue e sudore per farlo decollare e diventare, almeno per un periodo, un importante mezzo di informazione per la provincia di Cagliari.

Forse i lettori distratti questo non lo sanno, ma nel primo anno di vita di un quotidiano chi ci lavora, sia esso giornalista, grafico o pubblicitario, non può fare neppure un giorno di riposo. Deve soltanto lavorare. E’ giusto sottolinearlo per dovere di cronaca. Il pluralismo dell’informazione ha un prezzo.

Sulla vicenda di Sardegna Quotidiano il silenzio è stato assoluto. Eppure all’occhio vigile e attento del sindacato dei giornalisti non sarà certamente sfuggita l’encomiabile vicenda di quella cooperativa di giornalisti che hanno coraggiosamente cercato di unire le loro forze per sfuggire alla crisi dell’editoria sarda e creare nuovi posti di lavoro.

Insomma che fine ha fatto Sardegna Quotidiano? Ci piacerebbe sapere qualcosa di più su questa interessante vicenda del giornalismo sardo. Magari anche da chi ci ha lavorato e ha creduto nel sogno di una iniziativa editoriale autogestita.

Sollevare la coltre di silenzio che nasconde questo ennesimo flop editoriale potrebbe però soprattutto aiutarci a capire se i giornalisti, specie quelli che da dipendenti sono stati vittime della prepotenza di editori senza scrupoli, sono stati in grado di essere editori di se stessi e se a loro volta hanno saputo dimostrarsi datori di lavoro un po’ più sensibili ed equi.


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